Non che fosse una cosa
strana, all'epoca il mondo, l'Italia, la provincia si divideva
(abbastanza assurdamente a pensarci ora) tra i fan dei fratelli
Gallagher e quelli di Damon Albarn e Co. (sisi Graham Coxon è
importante e blablabla, chissenefrega, un giorno ne parleremo).
Lo dico subito: io
parteggiavo per i Blur.
Mi sembravano più freschi
e innovativi e, al di là delle varie scopiazzature dei Gallagher (all'epoca era un
miracolo se conoscevo i Beatles), mi sembrava soprattutto che Damon
Albarn avesse il coraggio di cambiare.
Insomma, per quanto non ne
capissi veramente un cazzo, 13 pareva un album di un gruppo
completamente diverso da quello di The Great Escape (che all'epoca
adoravo) e in Think Tank il mutamento era ancora più accentuato.
Amavo i gruppi che non si
ripetevano mai (quel pazzo di Neil Young è ancora oggi uno dei miei
idoli) e gli Oasis erano l'esatto opposto.
Ascoltato il primo
incredibile Definitely Maybe mi sembrava di sentire sempre le stesse
10-12 canzoni: voce strascicata, chitarroni, ballatoni...due palle
che in Be Here Now duravano più di 70 minuti, decisamente troppo.
Poi crebbi (ah il passato
remoto che torna a galla quando leggi autori toscani...), la faida
Blur-Oasis si spense abbastanza velocemente così come era stata
montata dalla stampa britannica e io cominciai ad ascoltare
tutt'altro, fregandomene altamente dello scioglimento o quasi di
entrambi i gruppi, ma sempre attento a chi riusciva a non ripetersi.
Oggi, passati più di 10
anni, mi ritrovo a sentire per radio o nei miei raccoltoni di mp3
qualche canzone di Blur e Oasis e, pur con fastidio, devo ammettere
che i classici degli Oasis sono invecchiati meglio di quelli dei
Blur.
Si, il cambiamento, si, il
coraggio di affrontare nuove sfide e la forza di ripresentarsi con un
nuovo album in un'epoca che non è più la loro (l'ultimo The Magic
Whip datato aprile 2015), ma Wonderwall rimarrà un classico senza
tempo mentre Beetlebum può essere solo una canzone figlia degli anni
'90.
Tutto questo sproloquio
musicale-nostalgico per dire cosa?
Che forse Fabio Genovesi
qualche limite come scrittore ce l'ha.
I suoi personaggi dalla
parlata fin troppo semplice (in Esche vive era Fiorenzo, qui è
Mario), quelli troppo attaccati al Rock (ancora Fiorenzo confrontato
a Nello), quelli che finita l'università hanno perso completamente
la bussola (là Tiziana, qui Renato) e quelli che, nonostante tutto
l'autocontrollo imposto, vengono presi da passioni troppo forti
(nuovamente Tiziana confrontata a Roberta). Gli incipit nostalgici
ambientati in un passato che non è più e i finali non finali con i
personaggi lasciati a correre da soli.
Ma io non ho più 16 anni
e se tu scrittore hai uno stile immutato che ti permette di
scrivere una nuova storia dove, cambiando l'ordine degli addendi, il
risultato fantastico non cambia, beh, a me piaci comunque.
Basta che alla prossima
non mi presenti un Be Here Now.
VERSILIA ROCK CITY
AUTORE: Fabio Genovesi
GENERE: Romanzo di formazione (senza adolescenti)
VOTO: 8,5
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