Così va scritta.
Non una barbosa sequela di
date e dati, avvenimenti e nomi, elenchi e tabelle.
Non una sconclusionata
sequela di idee e fissazioni ripetuta all'ossesso.
Non una corretta e
puntigliosa descrizione degli episodi più curiosi che hanno segnato
la propria carriera.
Non uno studio storico,
non un diario e nemmeno un compitino scolastico, Life si presenta
piuttosto come una mastodontica storia raccontata da Papà Castoro,
Mr Keith Richards, capace con le sue parole di affascinare,
emozionare, incuriosire e persino un po' incazzare.
Mi sembra di vederlo
mentre si siede con l'amata bottiglia di Jack Daniel's nella veranda
di una delle sue case in Jamaica o alle Barbados al tramonto e comincia a
raccontare di quella volta che nonno Gus per la prima volta gli diede
in mano una chitarra a 8-9 anni, “Se sai suonare Malagueña, sai
suonare qualsiasi cosa”, inconsapevole di quanta strada avrebbe
fatto quel bambino con la faccia da furfante in un mondo che allora
neanche esisteva.
Si è vero, c'erano Elvis,
Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e poco prima del suo successo vennero
fuori pure i Beatles, ma furono i Rolling Stones a rivoluzionare per
sempre il senso della parola rock agli occhi di tutto il mondo:
brutti, sporchi e cattivi e niente sarà più come prima.
Keef mi guarda con quel
suo sorriso tagliente, di traverso, e prosegue a raccontare dei primi
successi, delle ragazze che letteralmente se la facevano addosso ai
loro concerti mai finiti per il troppo caos, delle fughe sui tetti e
dei guai con l'odiata legge.
Della grande amicizia con
Mick Jagger, dei giovani amori, dei dischi fondamentali, dei
primissimi soldi.
Della grande amicizia con
Bobby Keys, dei riff leggendari, della tecnologia sbilenca, della
marijuana, di Anita Pallenberg.
Della grande amicizia con
Charlie Watts, delle dosi sempre più alte di eroina, dei primi amici
morti, dei figli sballottati qua e là.
Della grande amicizia con
praticamente chiunque abbia lavorato nel rock tra gli anni '50 e '80,
delle astinenze, degli screzi con Jagger.
Di tutto, ma soprattutto
di amicizia, droghe e musica.
Keith parla di tutto quel
che si ricorda e anche di quel che non si ricorda per le troppe
sostanze assunte tramite le parole di qualcuno a lui vicino in quel
periodo e lo fa con una disinvoltura e un fascino che difficilmente
si trova persino su quelle fantomatiche biografie in cui un po' tutto
è inventato o passato attraverso 10 mani prima di arrivare ad essere
scritto.
Il pirata sembra
avvertirmi che lui ha corso troppi pericoli, che più di una volta si
è salvato miracolosamente, che non è assolutamente bello essere
eroinomani, acidomani, cocainomani e alcolizzati, ma sembra sempre
ridere sotto i baffi: “Certo non farlo, io però mi son divertito,
9 giorni in piedi senza dormire...”
Verso l'alba Keith
comincia a parlare finalmente degli anni '90 e 2000, della sua
numerosa famiglia, dei grandi amici scomparsi, dei suoi ultimi tour
mastodontici e delle piccole disavventure della vecchiaia: cadute
dagli alberi o dalle librerie con conseguente rottura del cranio o
perforazione di un polmone, ceneri del padre sniffate quasi per caso
per farne parte di sé e insomma si, tutte quelle cose che fanno le
persone della sua età.
Poi mentre il sole sorge,
Keef si alza dalla sedia, va in casa a recuperare la chitarra e non
faccio neanche tempo a chiedermi se finalmente è andato a riposarsi
che lui è già di ritorno suonando Malagueña.
In fondo “Due accordi di
Malagueña ed è fatta”.
LIFE
AUTORE: Keith RIchards
ANNO: 2010
GENERE: Biografia
VOTO: 9
1 commento:
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