Dimentico spesso quanto
King possa essere avvinghiante.
Anche dopo aver letto
qualcosa come una trentina di romanzi e un paio di raccolte di
racconti, ogni volta che prendo in mano un suo libro il pensiero è
sempre lo stesso: questa volta non ci riuscirai.
Non riuscirai a tenermi
sveglio la notte come feci con It a 16 anni, sette ore a leggere col
lumicino pur di levarmi di dosso gli incubi che mi assalivano
ogni volta che chiudevo occhio o andavo in cantina a prendere una
bottiglia di vino per mio padre.
Non riuscirai a farmi
portare in giro nei posti più improbabili e scomodi (sul tram, in
spiaggia, a casa della fidanzatina) un libro della mole de L'ombra
dello scorpione in versione integrale (per chi non lo sapesse più di
1000 pagine scritte in caratteri simpaticamente microscopici nella
sua versione """tascabile""") pur di
non lasciare da soli i miei eroi durante la fine del mondo.
Non riuscirai a tenermi un
giorno intero inchiodato a letto credendo di essere nel Miglio Verde
nella speranza che John Coffey si salvi.
E non riuscirai nemmeno a
farmi leggere un racconto dietro l'altro ripetendomi continuamente
"Ancora uno piccolo e poi la smetto..."
E invece no.
A 68 anni King, in piena
crisi bulimica da scrittore compulsivo (ormai pubblica almeno due
romanzi l'anno più una raccolta di racconti, qualcosa che a ben
pensarci dovrebbe ispirare uno dei suoi horror), è ancora
capace di prendermi di peso e portarmi in un altro mondo senza
nemmeno tanti sforzi.
Gli
bastano due capitoli nostalgici sull'ennesima infanzia passata nel
Maine, questa volta all'interno di una felice e numerosa famigliola
religiosa, ed eccomi li a portarmi a spasso Revival dappertutto. In
edizione rigida. Con 470 pagine. Al lavoro, in macchina, nel tascone
dei pantaloni corti mentre vado in giro. Insomma, di nuovo.
Non dirò che Revival è
un capolavoro.
Sono anni che, pur non
leggendo tutto quel che King pubblica (per stargli dietro dovrei
leggere solo più lui, e non mi va ancora di diventare pazzo), il Re
dell'horror non scrive un vero e proprio capolavoro; forse i tempi di
It, L'ombra dello scorpione, Pet Sematary, Cuori in Atlantide,
Stagioni diverse e Il miglio verde sono passati per sempre o forse
semplicemente sono io ad essere diventato troppo esigente.
Niente capolavori quindi,
ma libri più o meno buoni a seconda delle stagioni.
Duma Key, tanto per dirne
uno recente, ma non recentissimo, era una mezza ciofeca nonostante la
buona idea di partenza. Pareva il libro di uno scrittore anziano che
vive su un'isola scema del Pacifico, col cappellino di paglia in
testa e poche gioiose idee che gli rimbalzano nel cervello rugoso senza saper
dove andare. Non il massimo, ecco.
22/11/63 invece era un
buon romanzo. Con una parte centrale decisamente inferiore
all'incipit e al finale (uno dei pochi riusciti nella lungherrima
carriera e quindi già solo da ricordare per quello), ma comunque
molto buono.
E poi c'è Revival.
Che è meglio di 22/11/63
e quasi allo stesso livello di quel Cuori in Atlantide che metto
tranquillamente tra i migliori.
Perché c'è un'ottima
idea di partenza, ma soprattutto perché c'è uno sviluppo degno del
King degli anni migliori. Si parte da uno dei pezzi forti del nostro
(l'infanzia, un'età magica che solo lui sa descrivere così
meravigliosamente), per attraversare poi la vita intera del
protagonista per spizzichi e bocconi. Un assaggio di adolescenza, un
salto nei 40, un ritorno ai 30 e poi via via lentamente verso i 50 e
infine i 60. Revival pare più una biografia che un romanzo qualsiasi
e arriva al succo soltanto nelle ultimissime pagine, prendendosela
con calma sugli aspetti della vita più reali e accelerando su quelli
più soprannaturali, quasi a voler far sembrare questi ultimi lampi e
tuoni che irrompono nella nostra esistenza di sole e nubi.
Con gli anni King sembra
aver abbandonato ormai del tutto ogni orpello che non abbia a che
fare con la vera e propria storia che sta raccontando e quindi la
narrazione prosegue ancora più spedita del solito, fino ad arrivare
al finale burrascoso che tutti attendono.
Che non è un brutto
finale.
Mi piace scrivere
recensioni e, di conseguenza, mi piace leggerne. Sarei un coglione a
non farlo. E sarei anche un pirla che pretende di essere letto senza
leggere niente di quel che gli altri scrivono. Questo per dire che ho
letto ben più di una recensione che parlava di una seconda metà del
libro deludente e soprattutto del solito finale imbarazzante a là
King. E per una volta, o forse per l'ennesima, non sono d'accordo.
Il finale soprannaturale
di Revival, esattamente come quello di 22/11/63, è fatto di poche
pagine. Pochi brevi accenni ad un orrore che l'occhio umano non può
sopportare e che lo scrittore del Maine, a quasi 70 anni, riesce
ancora a descrivere incutendo terrore. É vero che il romanzo sembra
accumulare dettagli su dettagli per poi smontarsi in poche semplici
righe, ma è anche vero che qui, come in 22/11/63 e come nel 90% dei
romanzi del Nostro, quello che davvero conta è il finale che viene
dopo, quello che riguarda la vita vera. Quella di un uomo dell'età di
Stephen stesso che è passato non casualmente attraverso la droga, la
musica rock e la morte di molti dei suoi cari (e indirettamente anche
attraverso un incidente automobilistico, cosa che King non dimentica
mai di inserire nei suoi romanzi da 15 anni a questa parte), per
arrivare ad un'anzianità fatta di tanti ricordi.
Stupendi, brutti, belli e
orrendi.
Ma tutti profondamente
Kinghiani.
E quindi urliamolo ancora
una volta.
W il Re.
W colui che la racconta.
REVIVAL
AUTORE: Stephen King
ANNO: 2014
GENERE: Horror, Drammatico
VOTO: 8
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