venerdì 27 febbraio 2015

NOSTALGIA PORTAMI VIA

Questa recensione è stata scritta originariamente il 31 gennaio 2012 e rivista completamente il 27 febbraio 2015

 

22/11/63 è pieno di incongruenze, difetti e ripetizioni.
Ci sono le incongruenze legate al viaggio nel tempo. Quello di King è di un tipo abbastanza particolare: si può tornare indietro nel tempo attraverso una "bollicina temporale" (termine orrendo usato sul finale), far tutto quel che si vuole per il tempo che si vuole e tornare in un presente in cui sono passati solo due minuti dalla partenza, ma su cui l’effetto farfalla ha avuto i suoi esiti (nefasti o meno). E perché si possono portare oggetti di qua e di là nel tempo senza nessuna conseguenza? Boh. E come ha fatto Al ad avere i suoi primi vecchi dollari del ’58 da spendere nel passato? Boh. E perché, nonostante venga ribadito una cinquantina di volte che il "buco temporale" è fragile poichè frutto di una serie di coincidenze, la buca del coniglio rimane sempre al suo posto qualsiasi cosa Jake combini nel ’58? Boh.
E via dicendo.
Ci sono i difetti nel corpo (parecchio grasso) del romanzo. Era necessario autocitarsi così palesemente nelle prime 200 pagine? Una volta esaurito il suo compito di “causa primaria della follia di Lee Oswald” a cosa serve tirare in ballo per la milionesima volta la madre di Oswald facendola apparire come una sorta di mostro Kinghiano capace di ringiovanire nutrendosi del pianto di una bimba per poi non nominarla più? E del sonaglino rosso di June Oswald cosa dovremmo pensare dopo tutte quelle punzecchiature? E soprattutto: se scrivi un romanzo sulla possibilità di salvare Kennedy, perché le conseguenze del gesto sono riassunte in 5 e dico 5, pur goduriosissime, pagine stiracchiate?
E ancora via dicendo.
Ci sono le ripetizioni. “Il gradino rotto di casa Oswald”. Ok… “Il gradino rotto di casa Oswald”. Ok… “Il gradino rotto di casa Oswald”. Ok… “Il gradino rotto di..” ma baaasta! “L’effetto farfalla”. Oh certo.. “L’effetto farfalla”. Si beh l’hai detto due pagine fa.. “L’effetto farfalla”. Mi prendi per il culo? “L’effetto farfalla”. Dio questo ha l’Alzheimer…
E via stradicendo.
Dunque 22/11/63 è un libro perfetto? No, per niente.
Può essere paragonato a tre capolavori Kinghiani (con l'h o senza h?) come “Stagioni diverse”, “Il miglio verde” o "Cuori in Atlantide"? Nemmeno per sogno.
Ma 22/11/63 rimane un buonissimo romanzo.
Messo su carta da un uomo a cui negli ultimi anni sembrano mancare un po’ le idee (un interquel, che brutta parola, de La torre nera, un sequel di Shining, o, come in questo caso o in quello di The Dome e Blaze, un’idea ripresa dal passato remoto), ma il cui mestiere e la volontà non si discutono.
Scritto da un King che forse considera i suoi lettori abbastanza rincoglioniti da dovergli ripetere 10 volte anche l'informazione più elementare, ma che sicuramente non gli manca di rispetto con lavori mastodontici di scrittura e di ricerca (si veda la postfazione) come in questo caso.
È un Re autocitazionista quasi fin alla nausea quello di 22/11/63 (anche se la mia idea rimane quella di un autore che, arrivato ad una certa età, stia tentando di dare un senso di unità alla sua vastissima opera), capace di accettare i consigli del figlio scrittore (e il finale ne guadagna, se avete letto la prima bozza del finale di King sul suo sito) e ormai sempre più nostalgicamente legato ad un passato pieno di difetti, ma comunque migliore. Una nostalgia che, per una volta, non riguarda l’età preadolescenziale e il suo seguito, ma quell’età adulta che King molte volte ha faticato a descrivere (si veda la parte “adulta” di It, nettamente inferiore a quella fanciullesca). Che il segreto risieda nel lento allontanamento da quegli anni vissuti in prima persona?
Niente più insegnamenti, prediche, morali: lo Stephen King del 2011 è pura storia, perché in fondo il fedele lettore lo sa che è la storia che conta, solo quella.
E che sia pure d’amore, in fondo uno scrittore multimilionario sposato da 41 anni con la stessa donna ne saprà qualcosa più di me no?
E che sia pure d'amore, in fondo uno scrittore multimilionario...ops scusate, pensavo di essere Stephen King...

11/22/63- 22/11/63
AUTORE: Stephen King
ANNO: 2011
GENERE: Fantastico
VOTO: 7,5




martedì 17 febbraio 2015

DI DROGHE, AMICIZIA E ROCK'N ROLL


Così va scritta.
Non una barbosa sequela di date e dati, avvenimenti e nomi, elenchi e tabelle.
Non una sconclusionata sequela di idee e fissazioni ripetuta all'ossesso.
Non una corretta e puntigliosa descrizione degli episodi più curiosi che hanno segnato la propria carriera.
Non uno studio storico, non un diario e nemmeno un compitino scolastico, Life si presenta piuttosto come una mastodontica storia raccontata da Papà Castoro, Mr Keith Richards, capace con le sue parole di affascinare, emozionare, incuriosire e persino un po' incazzare.
Mi sembra di vederlo mentre si siede con l'amata bottiglia di Jack Daniel's nella veranda di una delle sue case in Jamaica o alle Barbados al tramonto e comincia a raccontare di quella volta che nonno Gus per la prima volta gli diede in mano una chitarra a 8-9 anni, “Se sai suonare Malagueña, sai suonare qualsiasi cosa”, inconsapevole di quanta strada avrebbe fatto quel bambino con la faccia da furfante in un mondo che allora neanche esisteva.
Si è vero, c'erano Elvis, Chuck Berry, Jerry Lee Lewis e poco prima del suo successo vennero fuori pure i Beatles, ma furono i Rolling Stones a rivoluzionare per sempre il senso della parola rock agli occhi di tutto il mondo: brutti, sporchi e cattivi e niente sarà più come prima.
Keef mi guarda con quel suo sorriso tagliente, di traverso, e prosegue a raccontare dei primi successi, delle ragazze che letteralmente se la facevano addosso ai loro concerti mai finiti per il troppo caos, delle fughe sui tetti e dei guai con l'odiata legge.
Della grande amicizia con Mick Jagger, dei giovani amori, dei dischi fondamentali, dei primissimi soldi.
Della grande amicizia con Bobby Keys, dei riff leggendari, della tecnologia sbilenca, della marijuana, di Anita Pallenberg.
Della grande amicizia con Charlie Watts, delle dosi sempre più alte di eroina, dei primi amici morti, dei figli sballottati qua e là.
Della grande amicizia con praticamente chiunque abbia lavorato nel rock tra gli anni '50 e '80, delle astinenze, degli screzi con Jagger.
Di tutto, ma soprattutto di amicizia, droghe e musica.
Keith parla di tutto quel che si ricorda e anche di quel che non si ricorda per le troppe sostanze assunte tramite le parole di qualcuno a lui vicino in quel periodo e lo fa con una disinvoltura e un fascino che difficilmente si trova persino su quelle fantomatiche biografie in cui un po' tutto è inventato o passato attraverso 10 mani prima di arrivare ad essere scritto.
Il pirata sembra avvertirmi che lui ha corso troppi pericoli, che più di una volta si è salvato miracolosamente, che non è assolutamente bello essere eroinomani, acidomani, cocainomani e alcolizzati, ma sembra sempre ridere sotto i baffi: “Certo non farlo, io però mi son divertito, 9 giorni in piedi senza dormire...”
Verso l'alba Keith comincia a parlare finalmente degli anni '90 e 2000, della sua numerosa famiglia, dei grandi amici scomparsi, dei suoi ultimi tour mastodontici e delle piccole disavventure della vecchiaia: cadute dagli alberi o dalle librerie con conseguente rottura del cranio o perforazione di un polmone, ceneri del padre sniffate quasi per caso per farne parte di sé e insomma si, tutte quelle cose che fanno le persone della sua età.
Poi mentre il sole sorge, Keef si alza dalla sedia, va in casa a recuperare la chitarra e non faccio neanche tempo a chiedermi se finalmente è andato a riposarsi che lui è già di ritorno suonando Malagueña.
In fondo “Due accordi di Malagueña ed è fatta”.

LIFE
AUTORE: Keith RIchards
ANNO: 2010
GENERE: Biografia
VOTO: 9