venerdì 31 agosto 2007

CREATURE FROM THE BLACK LAGOON- IL MOSTRO DELLA LAGUNA NERA

Nel 1954 Jack Arnold alla sua seconda prova nel campo della fantascienza dopo l’ innovativo “Destinazione Terra”, fa centro con tutte le munizioni a sua disposizione.
L’ idea è quella di riprendere un classico come “King Kong”, e quindi il tema centrale della bella e la bestia, e trasporlo in una storia adatta a quel tipo di fantascienza da drive-in che lui stesso aveva contribuito ad inventare e che avrà molto successo soprattutto negli anni ’50.
Gli ingredienti ci sono tutti: un mostro, un eroe buono, la donna molto affascinante dell’ eroe buono, il rivale in amore del protagonista e l’ ambientazione in un luogo isolato e disabitato.
Rispettivamente il mostro anfibio (sicuramente l’ avete visto almeno una volta), David (interpretato dallo stesso R. Carlson di “Destinazione Terra”), Kay (la bellissima Julia Adams), Mark Williams (il biondo R. Denning che, oltre al colore dei capelli, ha in comune con il suo alter ego di “Destinazione Terra” il fatto di avere un ruolo superiore in società rispetto a David) e la Palude Nera in Amazzonia descritta dal capitano Lucas con una frase poi diventata classica: “è un Paradiso, soltanto che nessuno è mai tornato per descriverlo”.
La storia si muove esattamente come ci aspettiamo con la spedizione nella giungla per scoprire l’ anfibio misterioso, i primi attacchi del mostro, la cattura dell’ essere e la sua conseguente fuga e il finale aperto con l’ ultima caccia.
Se vi state chiedendo perché mai dovreste vedere un film di cui potete immaginare il finale fin dal primo quarto d’ ora vi rispondo subito facendovi notare che sono state le pellicole seguenti ad abusare di questo schema e il vostro ragionamento dovrebbe andare nella direzione opposta: perché mai ci sorbiamo (anche io ovviamente!) decine di film che si basano su una storiella semplicissima scritta più di 50 anni fa e non guardiamo almeno una volta l’ originale per rendercene conto?
Ma “Il mostro della Laguna Nera” non si limita ad essere un’ ottima storia di mostri: se si toglie un po’ di polvere dalla superficie si può notare come Jack Arnold, ancor più che in “Destinazione Terra”, sia ora dalla parte dell’ “alieno”. Se nel suo primo film di fantascienza egli assumeva semplicemente il punto di vista del mostro e ne giustificava le azioni che però disturbavano comunque gli umani, ora il regista ci fa notare come siano gli stessi uomini a disturbare la creatura nel suo habitat naturale. In definitiva se nella prima pellicola erano gli extraterrestri ad atterrare sulla Terra, ora è l’ uomo ad abusare di un territorio non suo provocando la giusta reazione del mostro, che poi tanto mostro non è. Se si fa un minimo di attenzione (davvero poca!) si noterà come Mark sia scambiato più di una volta per l’ anfibio facendoci infine comprendere come il vero mostro sia lui, a cui spetta, giustamente, una fine da “cattivo”.
Personalmente, avendo seguito proprio quest’ anno il mio primo corso da subacqueo, ho apprezzato anche l’ ottima fattura delle immagini subacquee (davvero ben fatte se si considera l’ anno in cui sono state effettuate), il realismo con cui è affrontata l’ avventura dei due sub David e Mark (film come “Open Water” al giorno d’ oggi sono meno realistici) e persino la divisione tra la vera passione dell’ eroe per il suo lavoro e l’ arroganza con cui il suo rivale affronta l’ elemento acquatico (fucile alla mano e coltello).
Per quanto riguarda gli attori Richard Carlson se la cava ottimamente anche questa volta insieme a Denning e al simpatico e burbero capitano Lucas interpretato da Nestor Pavia (anche questo tipo di personaggio sarà ripreso milioni di volte!) mentre Julia Adams fa sfoggio di tutta la sua sensualità in costume bianco e si diverte ad urlacchiare terrorizzata qua e la durante le riprese in modo che il giovanotto al drive-in possa abbracciare felice la sua ragazza.
La mano di Jack Arnold alla regia c’ è e si vede (oltre alle numerose classiche scene in cui si vede spuntare solo la mano del mostro, bellissima la sequenza in cui la creatura vede nuotare la sua bella in superficie e si avvicina voglioso per poi allontanarsi impaurito e ritornare all’ attacco deciso) e la fiducia degli attori pure dato che Ricou Browning accettò di girare numerose scene sott’ acqua armato di un ingombrante e scomodissimo costume di gomma per interpretare la creatura anfibia.Oggi la visione di una pellicola del genere può far sorridere (certo l’ ho fatto anch’ io cosa credete?) per la sua ingenuità ma la sua importanza storica non può essere negata, così come quella di Jack Arnold, capace di regalarci il secondo classico della fantascienza in due anni (senza contare il bellissimo "Radiazioni bx distruzione uomo" che produrrà di li a poco).
Seguito da "La vendetta del mostro" l' anno seguente a cura dello stesso Arnold.
Godetevi il trailer originale qui sotto!
REGIA: Jack Arnold
ANNO: 1954
GENERE: Fantascienza
VOTO: 8
QUANTO è CULT: 10
CONSIGLIATO A CHI: Vuole gustarsi un classico della sci-fi anni ’50 per poi andare in giro a fare l’ imitazione del mostro con le mani protese in avanti e la bocca aperta!

giovedì 30 agosto 2007

WORLD TRADE CENTER


Per parafrasare una nota pubblicità: chi non ha mai avuto pregiudizi alzi la mano.
Io ne alzo anche due.
Non adoro dirlo, non mi piace vantarmene ma è così, inutile negarlo.
Quando ho deciso di vedere “World Trade Center” di Oliver Stone con protagonista Nicolas Cage avevo più di un pregiudizio: non verrebbe anche a voi pensando a un regista quantomeno inaffidabile (non ci riescono tutti a produrre capolavori come “Platoon” e schifezze ignobili come “Alexander”) e a un attore che partecipa a produzioni a dir poco di dubbio gusto come “Il mistero dei templari”?
Poco prima di metter su il mio dvd, però, ho deciso di ignorarli, di far finta che questo fosse un film qualunque basato su quello che può essere definito come il più grande evento storico (finora) di questo nuovo millennio: l’ attacco terroristico dell’ 11 settembre 2001 alle Twin Towers.
E ce l’ ho fatta, ho atteso con pazienza le molteplici immagini iniziali di vita quotidiana a New York (davvero troppe però!), ho conosciuto i nostri protagonisti poliziotti tra cui uno stempiatissimo e baffuto Nicolas Cage (ma in Ghost Rider non aveva una folta chioma?), ho visto crollare sulla testa dei Nostri un’ intero edificio e sono riuscito a sopportare per più di mezz’ ora le urla e gli sproloqui del sergente Mc Loughlin, di Jimeno e Pezzullo rimasti imprigionati sotto le macerie.
Ma.
Ma all’ arrivo sullo schermo di un ex marine di nome Dave Karnes che ritiene di dover rientrare in azione per dare un aiuto perché quella è la sua Missione ho cominciato a vacillare.
Quando poi il nostro fantomatico eroe si reca dal barbiere per il taglio da marine (oddio!) e si dirige sul luogo della tragedia in divisa riuscendo ad entrare all’ interno dell’ area devastata e sorvegliata senza presentare alcun documento e dicendo solo di essere della marina USA sono sbottato.
Ma come può venire in mente una cosa del genere?
Uno si aspetta una storia seria (l’ intera pellicola si basa su fatti e persone reali) e si trova di fronte al solito trito e ritrito eroe da film per il ciclo “alta tensione” su Canale 5.
Davvero troppo.
Se si aggiunge che la seconda ora di film si muove tra primi piani dei due sopravvissuti al crollo con relativi dialoghi del tipo “Devo tornare dai miei figli, mia moglie mi aspetta, voglio bene al mio cane….” e immagini dei famigliari disperati potete immaginare perché a mezz’ ora dal termine sperassi in un incredibile accelerazione delle lancette dell’ orologio.
Ma, se possibile, le lancette si sono mosse in modo ancora più lento e non mi è rimasto che tirare un grandissimo sospiro di sollievo sul finale con una retorica immagine del disastro e di una bandiera americana immobile arrotolata sulla sua asta.
Stone, definito come uno dei registi più nazionalisti e allo stesso tempo come uno dei più grandi antiamericani, questa volta ha scelto la prima via per rendere omaggio (a suo dire) ai grandi eroi dell’ 11 settembre: grandi, magniloquenti e retoriche inquadrature e attori spronati a dare un senso di ansia e terrore (ma se Michael Pena nei panni di Jimeno se la cava ci si aspetta qualcosa di più da Cage che una faccia sporca e un tono di voce da morente)
Al di la di qualsiasi errore contestato alla presentazione della pellicola (accade sempre e comunque nei film tratti da vicende storiche) credo che il film rappresenti semplicemente una grande occasione perduta per cercare di dare realmente un senso a questa immane tragedia.
Non mi rimane quindi che consigliarvi l’ altra pellicola su questo disastro “United 93”, sicuramente meno curata e iperprodotta ma, a mio modesto parere, molto più vicina allo spirito che molti (compresi alcuni parenti dei famigliari coinvolti) avrebbero voluto in World Trade Center ma che Stone non ha saputo donare a un film con tante pretese e davvero poche frecce al suo arco.
REGIA: Oliver Stone
ANNO: 2006
GENERE: Drammatico
VOTO: 5
QUANTO FA CADERE LE PALLE QUESTA PELLICOLA: 8
CONSIGLIATO A CHI: Non ha mai visto un immagine del crollo delle Torri Gemelle (vivete sulla Luna?!). A tutti gli altri consiglio i 1000 documentari che sono passati e passeranno in tv sulla tragedia, sicuramente più interessanti e moooolto meno romanzati.

sabato 25 agosto 2007

PERCORSI, OVVERO UN BREVE VIAGGIO TEMATICO TRA LE MI RECENSIONI

Questo spazio si propone in qualche modo come una sorta di spiegazione ai percorsi talvolta troppo intricati che la mia mente segue nello scegliere e recensire i film.
All’ interno di questo post non saranno elencate necessariamente tutte le pellicole che ho recensito (per quello potete ciccare qui o qui) ma semplicemente quelle che rientrano all’ interno di una specifica “rubrica” o, come si evince fin dal titolo, all’ interno di un percorso (che può intendersi come una semplice filmografia o genere o come qualcosa di più complicato).
I percorsi ancora da concludere sono segnalati e comunque non si esclude che quelli già conclusi (come quello su Jack Arnold o Guy Ritchie) possano essere riaperti per nuove opere dell’ autore in causa o che si rifanno a quelle.
Ogni film può essere incluso in più percorsi e minipercorsi.
I titoli utilizzati sono quelli con cui il film è uscito in Italia.
I link sono al percorso e non al singolo titolo (per quelli esistono le classificazioni per nome e per regista). Una volta sul percorso ovviamente troverete tutti i titoli citati nella stessa pagina scorrendo.


PERCORSO JACK ARNOLD
All’ interno del quale troverete la filmografia disponibile (alcuni film sono difficilmente recuperabili sul mercato odierno) fantascientifica (e non) di Jack Arnold negli anni ’50 e quella del suo assistente John Sherwood. All’ interno troverete, come potete ben vedere, un minipercorso sul mostro della laguna nera.
Il minipercorso sul mostro della laguna nera deve ancora concludersi con 2 produzioni “minori” in cui il mostro appare ma non è protagonista.

- Destinazione Terra (1953)
- Il mostro della laguna nera (1954) seguito da [minipercorso MOSTRO DELLA LAGUNA NERA]
- La vendetta del mostro (1955) seguito da [minipercorso MOSTRO DELLA LAGUNA NERA]
- Il terrore sul mondo (1956) di John Sherwood [minipercorso MOSTRO DELLA LAGUNA NERA]
- Tarantola (1955)
- Cittadino dello spazio (1955)
- Radiazioni bx distruzione uomo (1957)
- I figli dello spazio (1958)
- Ricerche diaboliche (1958)
- Il ruggito del topo (1959)
- La meteora infernale (1957) di John Sherwood


PERCORSO KING KONG E ERNEST B. SCHOEDSACK
All’ interno del quale troverete la filmografia disponibile (alcuni film sono difficilmente recuperabili sul mercato odierno) di Ernest B. Schoedsack con il suo compagno di avventure Merian C. Cooper.
Lo spunto iniziale da cui ha avuto inizio questo percorso è stata la profonda influenza che ha avuto King Kong su “Il mostro della laguna nera” di Jack Arnold per cui vi riporto al percorso precedente.
Il primo film analizzato è “Il mondo perduto” di Harry Hoyt che si ricollega al “King Kong” di Schoedsack per la presenza agli effetti speciali (stop-motion) di Willis O’ Brien, poi curatore degli stessi anche in King Kong.
Il minipercorso su King Kong deve essere ancora largamente sviluppato.

- Il mondo perduto (1925) di Harry Hoyt
- Grass: A Nation’ s Battle For Life (1925)
- La pericolosa partita (1932)
- King Kong (1933) seguito da [minipercorso KING KONG]
- Il figlio di King Kong (1933) [minipercorso KING KONG]
- Dr Cyclops (1940)

PERCORSO JOHN CARPENTER
All' interno del quale troverete la filmografia di John Carpenter e non solo.
Cercherò di seguire i film a cui si è ispirato John Carpenter per i suoi lavori e i remake delle sue pellicole che oggi vanno tanto di moda.
Lo spunto iniziale: l' influenza di "Destinazione Terra" di Jack Arnold su John Carpenter.
Il percorso sarà pieno zeppo di minipercorsi e necessiterà di mesi per essere concluso degnamente.

- Dark Star
- Mezzogiorno di fuoco (1952) di Fred Zinnemann [minipercorso DISTRETTO 13]
- Un dollaro d'onore (1959) di Howard Hawks [minipercorso DISTRETTO 13]
- El Dorado (1967) di Howard Hawks [minipercorso DISTRETTO 13]
- Rio Lobo (1970) di Howard Hawks [minipercorso DISTRETTO 13]
- Distretto 13: le brigate della morte (1976) [minipercorso DISTRETTO 13]
- Assault on precint 13 (2005) di Jean Francois Richet [remake di "Distretto 13" minipercorso DISTRETTO 13]
- La cosa da un altro mondo [il racconto] (1938) di John W. Campbell Junior [minipercorso LA COSA]
- La cosa da un altro mondo [il film] (1951) di C. Nyby [minipercorso LA COSA]
- La cosa (1982) [minipercorso LA COSA]

PERCORSO GUY RITCHIE
All’ interno del quale troverete la filmografia completa di Guy Ritchie compresa la regia dello stesso nello spot tv per la Bmw facente parte della serie “The Hire” e il film oggetto del suo unico remake: “Travolti da un insolito destino nell’ azzurro mare d’ agosto” da cui forse un giorno prenderà il via un altro percorso.
Lo spunto iniziale da cui ha avuto inizio questo percorso è stata semplicemente la curiosità dettata dal primo film del regista che considero ancora oggi il migliore della sua filmografia e che è stato oggetto della mia prima recensione su questo blog.
Il minipercorso “The Hire” deve essere ancora largamente sviluppato.

- Lock & Stock- Pazzi scatenati (1999)
- Snatch- Lo strappo (2000)
- Travolti da un insolito destino nell’ azzurro mare d’ agosto (1974) di Lina Wertmuller
- Travolti dal destino (2002)
- Revolver (2005)
- Star (2001) [minipercorso THE HIRE]

PERCORSO IL PIANETA DELLE SCIMMIE
All’ interno del quale troverete i vari film facenti parte della serie “Il pianeta delle scimmie”, il remake e il libro di Boulle da cui tutto è nato.
Lo spunto iniziale: il mio grande amore per la fantascienza.
Il percorso deve essere ancora largamente sviluppato.

- Il pianeta delle scimmie [il libro] (1963) di Pierre Boulle
- Il pianeta delle scimmie [il film] (1968) di Franklin J. Schaffner
- Il pianeta delle scimmie [il remake] (2001) di Tim Burton


PERCORSO MIKE NICHOLS
All’ interno del quale un giorno lontano troverete la filmografia di Mike Nichols.
È un progetto a lungo termine che per ora è un semplice abbozzo.
Lo spunto iniziale: il voler riscoprire un grande attore come Dustin Hoffman con “Il laureato”, un attore a cui dedicherò sicuramente un altro percorso.

- Chi ha paura di Virginia Woolf (1966)
- Il laureato (1968)


PERCORSO STEPHEN KING
All’ interno del quale ci saranno libri, film e quant’ altro ispirati all’ opera di uno dei miei scrittori preferiti.
Spunto iniziale: il mio grande affetto verso questo scrittore.
È ovvio che il tutto deve essere ancora largamente sviluppato ma essendo comunque un percorso trasversale (più autori, più opere) sarà costantemente aggiornato.

- Brivido [il film] (1986) di Stephen King
- L’ ombra dello scorpione [il film] (1994) di Mick Garris
- 1408 [il racconto] di Stephen King
- 1408 [il film] di Mikael Hafstrom


PERCORSO RICHARD MATHESON
All’ interno del quale si troveranno tutte le opere che hanno a che fare con Richard Matheson.
Spunto iniziale: il meraviglioso “Io sono leggenda” di Matheson.
Il percorso è quasi completato per le opere dichiaratamente ispirate al libro di partenza ma sarà ancora largamente sviluppato per quanto riguarda altre pellicole che si sono ispirate ai suoi lavori o per cui lui stesso ha lavorato alla sceneggiatura.

- Io sono leggenda [il libro] (1954) di Richard Matheson
- L’ ultimo uomo della Terra (1964) di Ubaldo Ragona
- Io sono leggenda [il film] (2007) di Francis Lawrence
- Tre millimetri al giorno (1956) di Richard Matheson
- Radiazioni bx: distruzione uomo (1957) di Jack Anold

PERCORSO ULTRACORPI
All’ interno del quale si troveranno le pellicole che mettono al centro della vicenda gli ultracorpi.
Spunto iniziale: l’ uscita nelle sale di Invasion.
Il percorso è quasi concluso

- L’invasione degli ultracorpi (1956) di Don Siegel
- Invasion (2007) di Oliver Hirschbiegel



PERCORSO OLIVER STONE
All’ interno del quale si trovano le pellicole dirette da Oliver Stone o a cui Oliver Stone ha dato un contributo significativo.
Spunto iniziale: Oliver Stone è un mattone sulle ginocchia. Riuscirò a trovare pellicole che mi aggradano nella sua filmografia?
Il percorso è ancora da sviluppare largamente anche perché vedere più di uno Stone al mese è per me una fatica immane.

- Platoon (1986)
- Alexander (2004)
- World Trade Center (2006)


PERCORSO DAVID CRONENBERG
All’ interno del quale si trovano le pellicole dirette sa Cronenberg o quelle in qualche modo legare alla sua opera.
Spunto iniziale: David Cronenberg è pazzo.
Il percorso sarà sviluppato maggiormente e più attentamente quando avrò un po’ più di tempo da dedicarci.

- Inseparabili (1988)
- A history of violence (2005)
- La promessa dell’ assassino (2007)


PERCORSO HOWARD HAWKS

All’ interno del quale si trovano le pellicole di uno dei grandi del cinema classico Hollywoodiano e quelle che ne sono state dichiaratamente ispirate.
Spunto iniziale: l’ influenza di Hawks sull’ opera di Carpenter
Percorso che necessiterà di secoli per essere concluso.

- Un dollaro d’ onore (1959)
- El Dorado (1967)
- Rio Lobo (1970)


PERCORSO LUC BESSON
All’ interno del quale troverete le pellicole girate e prodotte da quell’ americanaccio europeo che è Luc Besson.
Spunto iniziale: la mia passione per la subacquea che mi ha portato a vedere Le grand Bleu.
Percorso ancora da sviluppare.
- Le grand bleu (1988)
- Il quinto elemento (1997)


PERCORSO ORIGINAL & REMAKE
All’ interno del quale si troveranno tutte quelle pellicole che hanno avuto un remake ufficiale.
Spunto iniziale: notare differenze e sviluppi differenti.
Il percorso può essere sviluppato ulteriormente in ogni momento, soprattutto oggi, in un periodo in cui Hollywood sforna almeno 2-3 remake all’ anno.

- Nosferatu il vampiro (1922)- Nosferatu il principe delle tenebre (1979)
- Travolti da un insolito destino nell’ azzurro mare d’ agosto (1974)- Travolti dal destino (2002)
- Il bacio della pantera (1943)- Il bacio della pantera (1982)
- Il pianeta delle scimmie (1968)- Il pianeta delle scimmie (2001)
- Distretto 13: le brigate della morte (1976)- Assault On precint 13 (2005)

PERCORSO 3 CLASSICI UN MITO
All’ interno del quale troverete recensioni di film anche molto diversi tra loro accomunati da un unico elemento.
Spunto iniziale: tentare di dare una diversa lettura anche di film molto conosciuti.
Il percorso è continuamente sviluppatoo.

- Tre classici un mito: Il vampiro. Comprende Nosferatu il vampiro (1922), Nosferatu il principe delle tenebre (1979), Dracula di Bram Stoker (1992)
- Tre classici un mito: Il padrino. Comprende Il padrino (1972), Il padrino parte II (1974), Il padrino parte III (1990)
- Quattro classici un mito: Il falso ribelle. Comprende Senso (1954), La battaglia di Algeri (1966), The New World (2006), La promessa dell’ assassino (2007)
- Tre classici un mito: Il signore degli anelli. Comprende La compagnia dell’ anello (2001), Le due torri (2002), Il ritorno del re (2003)
- Tre classici due miti: Howard Hawks e John Wayne. Comprende Un dollaro d' onore (1959), El Dorado (1967), Rio Lobo (1970)
- Tre classici un mito: Starship Troopers. Comprende Starship Troopers (1997), straship Troopers 2 (2004), Starship Troopers 3 (2008)


PERCORSO WESTERN
All’ interno del quale troverete le pellicole dichiaratamente western o quelle che si mascherano da qualcos’ altro ma lo sono comunque.
Spunto iniziale: riscoprire John Wayne.
Percorso evidentemente troppo vasto per essere concluso ma a cui ho intenzione di regalare molte pellicole.

- Mezzogiorno di fuoco (1952)
- Un dollaro d’ onore (1959)
- El Dorado (1967)
- Rio Lobo (1970)

STRANGER THAN PARADISE- PIù STRANO DEL PARADISO

Come si fa a scrivere una recensione di un road movie di un ora e venti a cui partecipano una decina di attori in totale (compresi quelli che recitano per 5 secondi) in cui non succede praticamente nulla abituati alle ingarbugliate quanto assurde trame di oggi?
Sinceramente non ne ho idea.
Se vi dicessi che il protagonista di questa pellicola è un ragazzaccio di nome Willie che vive in un monolocale lurido perennemente con il cappello in testa (chissà perché mi ricorda quel finto alternativo di Pete Doherty) e con la fissa per il gioco (carte, corse di cani, cavalli e chi più ne ha più ne metta!) molto probabilmente pensereste a chissà quali avventure in giro per l’ America, tra droghe, fumo, alcool e feste.
Ma questo non è il classico road movie Hollywoodiano in cui può accadere qualsiasi cosa, lo definirei piuttosto un reale film della strada.
Qui non c’ è alcun sogno americano da esaltare o da distruggere per cercare di costruirne uno nuovo: il boom economico è lontano anni luce e il ’68 è ormai solo un lontano ricordo sbiadito, un sogno mai realizzato.
L’ inizio degli anni ’80 vede in scena una gioventù che non ha nemmeno più la forza di opporsi autodistruggendosi (vedi punk) al sistema: l’ apatia è la miglior difesa per un ragazzo immigrato da tempo in America che non riesce ad accettare il fatto di essere un Ungherese e non un “vero” Americano.
Se la cugina in visita rifiuta di adattarsi a un modo di vivere non suo, Willie tenta di inserirsi a forza all’ interno della società, diventando addirittura una caricatura di quello che la società americana secondo lui vuole da se stesso: la scena del cibo in vaschetta perché “In america si mangia così”, il regalo alla cugina Eva di un vestito perché “Devi vestirti come si vestono qui” e addirittura il nome cambiato da Bela in Willie ci fanno comprendere quanto il protagonista abbia paura di essere escluso da una società che comunque non sente sua.
Se la prima delle tre parti in cui è divisa la pellicola è intitolata ironicamente “The New World” e ci mostra il profondo disagio del protagonista (ma sempre con un tocco fine di umorismo) in una New York quanto meno estraniante (nelle poche esterne presenti sembra sempre di vedere una città deserta nel tentativo di isolare il debole uomo), la seconda parte ci mostra la vita della zia di Bela (Ai em the vinner.. capirete capirete!) da cui Eva vive per un anno.
Lotte (la zia) è una donna anziana che si potrebbe dire l’ esatto opposto del nipote: se lui fa di tutto per parlare solo inglese e comportarsi da Americano, lei sembra quasi provocarlo dialogando con lui solo in ungherese nonostante i suoi richiami.
La terza ed ultima parte, infine, intitolata “Paradise” vede Willie, l’ amico Eddie ed Eva andare in Florida, vero e proprio Paradiso rispetto alla nevosa Cleveland, dove un inaspettato finale metterà la parola fine ad un avventura di 3 ragazzi quanto meno singolare perchè di realmente straordinario non ha nulla se non il tentativo di esserlo.
Incredibilmente surreale quanto realistica, questa seconda pellicola di Jarmusch (in realtà la prima è un mediometraggio tesi di laurea di nome Permanent Vacation) si muove soprattutto grazie al talento dei semisconosciuti attori (John Lurie nella parte di Bela e R. Edson, primo batterista dei Sonic Youth, in quella dell’ amico Eddie) e alle riprese di Jarmusch che segue un modo tutto suo di riprendere: le scene vengono staccate da improvvisi tagli, a volte addirittura durante i dialoghi, i momenti di silenzio assoluto sono molti (controbilanciati dalle poche ma ben fatte musiche dello stesso John Laurie e dalla favolosa “I Put A Spell On You” di Screamin Jay Hawkins) e gli spazi di pellicola nera tra una scena e l’ altra altrettanti e altrettanto lunghi.
Insomma che vi devo dire? Si potrebbe concludere con un bel “Non è un film per tutti!” ma voi sapete indicarmene uno di questi tanto declamati "film per tutti"? Più modestamente vi posso dire che non è una pellicola adatta ad ogni momento: Jarmusch va seguito, gustato in ogni più piccolo particolare e ascoltato in ogni dialogo per coglierne appieno il fine umorismo amaro di fondo.
Un ultimo consiglio: se non avete mai visto un film del Nostro vi consiglio di partire da altro, anche il successivo Daunbailò risulta più accessibile con uno stralunato quanto magistrale Benigni.
“Che Cazzo ci farai a Budapest?”
Curiosità: tra i molti premi raccolti mi interessava far notare la Golden camera per miglior film d’ esordio al Festival di Cannes e il premio speciale della giuria al Sundance Film Festival come film drammatico.
REGIA: Jim Jarmusch
ANNO: 1984
GENERE: Road Movie
VOTO: 8
QUANTO è DIVERSO JARMUSCH DAL 90% DEI REGISTI IMPROVVISATI DI OGGI: 10
CONSIGLIATO A CHI: Vuole passare una piacevole oretta in compagnia di 3 personaggi strampalati e stralunati in grado di divertire facendo riflettere (che sembra tanto na frase da film di Robin Williams ma non lo vuole assolutamente essere!).

giovedì 23 agosto 2007

DISTURBIA


Eccomi al mare.
Nessuna voglia di uscire per rintanarmi nel solito pub a bere il mio vodka lemon, confesso agli amici la tremenda verità:
“Stasera non c’ ho proprio voglia!”
Mi giro e faccio per andarmene stanco dalla spiaggia quando sento una voce lontana che propone il cinema come ultima possibilità.
Il cinema d’ estate in Italia: un incubo.
Film horror al 90%, il restante 10% sono filmacci di serie c distribuiti anni fa nelle sale americane e poi caduti nel dimenticatoio finchè qualche pazzoide distributore italiano decide che si, quel film aveva un’ attrice che ora è famosa per qualche serial e quindi va assolutamente distribuito.
Ma la disquisizione sul cinema estivo la lascio ad altri tempi.
Mi giro incuriosito e accenno al fatto che i film in sala facciano tutti a dir poco pena quando un “genio” di Dolce&Gabbana vestito (ma che vai a fare in spiaggia con i jeans e i medaglioni al collo mi chiedo io?) tira fuori la storia che lui a Milano ha visto un gran film, tale Disturbia di cui io mi sono beccato il trailer in tv almeno 10 volte (considerando che avrò visto 2 ore di tv in 15 giorni è una buona media!).
“Dani tu vieni se andiamo al cine?”
“Ma sai.. sono stanco, non ho voglia, è tardi, non ci sono più le mezze stagioni..”
“Daiiiii”
“Va beeene andiamo, d’ altronde peggio di quella schifezza di Hulk che vidi l’ ultima volta qui al mare non può essere! (era inverno se non ricordo male quella volta però).
Corro a casa, ceno in fretta, mi metto un pantalone da sporcare con la maionese dei nachos e corro al cinema.
Biglietto (7euro, maledetti multisala) e scena spassosa di una ragazza amica che riesce a prendere 2 pupazzetti orribili con una sola moneta in quelle scatole con braccio meccanico che di solito non acchiappi neanche il pupazzo de l’ orso bruno gigante.
Il divertimento finisce qui.
Si entra in sala, i soliti 2 imbecilli hanno occupato i nostri posti già prenotati (e fingono di non sentire quando io urlo che odio quelli che non si mettono al loro posto dopo aver pagato 7 euro) ma non ci va di litigare così ci si mette dietro.
Il film ha inizio dopo 10 interminabili minuti di pubblicità fuffa dei vari idraulici-piastrellisti-mobilifici della zona (come se io andassi al cinema per conoscere i nuovi idraulici della zona!).
I primi minuti promettono male: il dialogo tra il ragazzo protagonista e il padre è irreale e quasi ridicolo e già si sa che di li a poco succederà qualcosa di sconvolgente (per la serie non siamo prevedibili!).
I secondi minuti con il terribile incidente occorso ai due in macchina è la parte più angosciante dell’ intera pellicola: tutta la scena è realizzata con maestria e risulta incredibilmente verosimile con una bella inquadratura finale del viso di Kale che chiama il padre.
Da qui: il nulla.
I terzi minuti (se posso chiamarli così) vedono il ragazzo in questione sprofondare nella più classica delle crisi adolescenziali post perdita del genitore da cinema americano che si sia mai vista: Kale va male a scuola e diventa irascibile al punto da tirare un pugno al professore finendo così agli arresti domiciliari.
Rinchiuso in casa senza x-box ne internet che gli vengono inspiegabilmente tolti dalla madre in modo ridicolo (per staccare la tv la madre taglia i fili!), Kale diventa un guardone e si innamora della classica ragazza appena trasferitasi nella villa a fianco con i classici problemi famigliari.
Ma la banalità non finisce qui.
Se già è poco credibile il fatto che una bella ragazza ti si trasferisca a fianco e ti provochi dandoti certe occhiate prima di tuffarsi in acqua, cosa ne dite se l’ altro vicino è un serial killer che porta ragazze nella sua casa per ucciderle?
Perchè fa tutto ciò?
Ovviamente non viene spiegato! È un serial killer non vi basta come spiegazione?
Ora mettete che la ragazza si innamori di Kale dopo un suo discorso a dir poco imbarazzante (io mi tiravo un giornaletto in faccia durante la scena dal disgusto!), mettete che l’ amico del protagonista sia un emerito pirla che non fa ridere nessuno, mettete che l’ assassino ha tante porte e botole segrete nella sua casa quante non ne ha nemmeno un castello nelle favole più incredibili e capirete perché io a metà della pellicola abbia detto per la prima volta da 2-3 anni a questa parte:
“Ora me ne vado”
Ovviamente non me ne sono andato, mi sono sorbito la prima ora di film in cui sembra di vedere American Pie+ Oc e la seconda che potrebbe mettere paura a una gallina infreddolita.
Di fronte a una seppur buona prova del lanciatissimo Shia Labeouf e del killer David Morse (anche se si fa fatica a crederlo cattivo con quella faccia), a una regia piattissima ma soprattutto a una trama risibile con dei personaggi sottili come un foglio di carta come si fa a non uscire incazzati neri dal cinema con una tremenda voglia di prendere a sberle quel pirla di Dolce&Gabbana vestito che ha avuto il coraggio di dire che era un buon film?
Morale: non fidatevi mai dei consigli di chi va vestito in spiaggia come un modello a là 50 Cent, molto probabilmente ha visto 5 film nella sua vita di cui 4 sono Rambo, Rocky, Die Hard (anch’ io li ho visti e non mi vergogno a dire che mi piacciono ma grazie a Dio ho visto anche qualcos’ altro!) e altri due per il ciclo alta tensione mentre limonava con la ragazza. Se siete come lui andate a vedere Disturbia: è bellissimo! Confido nella vostra intelligenza.
Questo filmaccio è stato campione d’ incassi in America: mi immagino già sale piene di 50 Cent.
REGIA: D. J. Caruso
ANNO: 2007
GENERE : Thriller (?!)
VOTO: 4
QUANTO è MEGLIO DI HULK : 3
CONSIGLIATO A CHI: Ha visto 5 film nella sua vita.

sabato 11 agosto 2007

BEATLES_LENNON-MC CARTNEY_ LET IT BE

Di nuovo in viaggio, a presto con nuove emozionanti Deneil-recensioni. Non vi farò attendere troppo statene certi.

When I find myself in times of trouble
Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be.
And in my hour of darkness
She is standing right in front of me
Speaking words of wisdom, let it be.
Let it be, let it be.
Let it be, let it be.
Whisper words of wisdom, let it be.
And when the broken hearted people
Living in the world agree,
There will be an answer, let it be.
For though they may be parted there is
Still a chance that they will see
There will be an answer, let it be.
Let it be, let it be.
Let it be, let it be.
There will be an answer, let it be.
Let it be, let it be.
Let it be, let it be.
Whisper words of wisdom, let it be.
(instrumental break)
Let it be, let it be.
Let it be, let it be.
Whisper words of wisdom, let it be.
And when the night is cloudy,
There is still a light that shines on me.
Shine until tomorrow, let it be.
I wake up to the sound of music
Mother Mary comes to me
Speaking words of wisdom, let it be.
Let it be, let it be.
Let it be, yeah let it be.
There will be an answer, let it be.
Let it be, let it be.
Let it be, yeah let it be.
Whisper words of wisdom, let it be.

SNATCH- LO STRAPPO

Guy Ritchie se ne frega.
L’ anno scorso in un albergo all’ estero mangiai per quasi 2 settimane intere al buffet del ristorante interno e notai una cosa assai curiosa: se il lunedì c’ era pasta in bianco, il martedì c’ era pasta al sugo, il mercoledì pasta al sugo con le zucchine, il giovedì pasta al sugo con zucchine e melanzane, e così via.
Notate qualcosa di strano?
Forse che la pasta che mangiavo non era altro che la pasta del giorno precedente riscaldata con un ingrediente in più?
Bene.
Ora immaginate che Pulp Fiction sia già un piatto di pasta riscaldata (a me personalmente piace molto se fatta saltare in padella!) con molti ingredienti tutti diversi e tutti speciali in modo che non vi rendiate conto della somiglianza con la pasta del giorno precedente.
Ora prendete “Lock e Stock” e immaginate di scaldare la pasta riscaldata una seconda volta: non il massimo della genuinità ma si, si può ancora fare.
Infine vi capita “Snatch” tra le mani: è 2 giorni che mangiate la stessa cosa, non ne avete le palle piene?
Eppure c’ è qualcosa.
C’ è qualcosa nella storia assurda imbastita da Guy Ritchie piena come al solito di personaggi incredibili con nomi come Franky 4 dita (Benicio Del Toro) o Tony pallottola al dente che ti fa venire voglia di assaggiarla ancora una volta.
C’ è qualcosa in quella storia strafottente dove uno zingaro di nome Mickey (Brad Pitt) viene convinto a lottare per 2 combattimenti clandestini, mentre intorno succedono cose incredibili come cani che inghiottono giocattoli squittenti, diamanti rubati nei modi più insperati, boss che uccidono i propri scagnozzi e li danno da mangiare ai porci che ti fa venir ancora l’ acquolina in bocca.
C’ è qualcosa nel montaggio frenetico e ubriaco di Guy Ritchie pieno di inquadrature roteanti, stop and go (anche se molto probabilmente non si chiamano così), rallentamenti e flash che inevitabilmente ti attira ancora verso quel piatto.
C’ è qualcosa nel vedere Brad Pitt impersonare uno zingaro dislessico e sporco lottare su un ring a mani nude con la faccia incrostata di sangue che ti fa venir voglia di dire: “Ancora!”
C’ è qualcosa in quei monologhi irreali (quello iniziale sulla religione) e in quei dialoghi deliranti (“Tony guarda nel cane!” “Che vuol dire guarda nel cane?” “Vuol dire che devi aprirmelo!)” che ti attira come una calamita attira la limatura di ferro.
C’ è qualcosa in tutta quell’ insensata violenza di fondo simbolo di una società ormai allo sbaraglio (a un uomo viene chiusa la testa nel finestrino e viene costretto a confessare un nome mentre l’ automobile procede a velocità sostenuta) che ti dice che non puoi smettere.
C’ è qualcosa in quella maledetta testaccia di Guy Ritchie che riesce a farti credere di mangiare una pasta appena scolata, mentre lui ti mette nel piatto sempre la solita minestra riscaldata e se ne frega altamente, o, forse, più semplicemente, finge di essere un buzzurro, un malato di cinema alla Tarantino, un pazzo con troppe cose per la testa.
Mentre è attento a ogni minimo particolare, a ogni minima inflessione verbale e inquadratura, Guy Ritchie ci spia mentre gustiamo la sua specialità: pasta riscaldata.
Guy Ritchie finge di fregarsene.
REGIA: Guy Ritchie
ANNO: 2000
GENERE: Pulp
VOTO: 7
QUANTO SEMBRA FUSO BRAD PITT NEI PANNI DI UNO ZINGARO STRACCIONE E DISLESSICO: 9
CONSIGLIATO A CHI: ama Quentin e “Lock e Stock”, come me non riesce a mettere un brutto voto ad un film come questo nonostante non abbia nulla di originale rispetto a “Lock e Stock”.

giovedì 9 agosto 2007

IT CAME FROM OUTER SPACE- DESTINAZIONE TERRA

L’ amaro in bocca.
Ecco la mia sensazione a caldo subito dopo la visione.
La prima pellicola di science fiction diretta da quello che poi diventerà un maestro nel genere non mi convince del tutto.
Nonostante la storia sia tratta da un racconto del grande Ray Bradbury (ma tutti i miei sforzi non sono stati utili per il suo ritrovo, ne per capire quale sia il titolo della storia, dato che ogni sito dice una cosa diversa a riguardo), nonostante Richard Carlson sia un attore più che buono, nonostante certi colpi di genio registici ci siano, nonostante capisca che siamo nel 1953 e questo film è diretto principalmente al pubblico adolescenziale dei drive in, nonostante tutto ciò l’ amaro in bocca rimane.
Innanzitutto la storia: un dilettante astronomo di nome John vede precipitare nel deserto vicino a casa, insieme alla compagna Ellen, un meteorite e recatosi sul posto scopre che in realtà si tratta di una navicella spaziale, al cui interno intravede un alieno.
Ovviamente nessuno crede al suo racconto ma pian piano gli alieni cominciano a prendere il posto di alcuni umani, ne assumono le sembianze per poter prendere indisturbati i pezzi di ricambio per la loro astronave danneggiata, imprigionando gli umani “clonati”.
Un felice epilogo mette la parola fine alla breve (1 ora e un quarto circa, la durata media dei film di questo genere) avventura di Johnny.
Se da una parte l’ idea di rappresentare gli alieni semplicemente come un’ altra forma di vita, ne buona ne cattiva, in cerca di un aiuto per riparare la loro astronave è assai innovativa per l’ epoca, altrettanto male è resa la psicologia degli umani, per lo più incapaci di decidersi se aiutare o no gli extraterrestri; a tal proposito è significativo l’ esempio di Matt, corteggiatore di Ellen e commissario della città, inizialmente incredulo di fronte alle parole del protagonista, poi in cerca di consiglio da Johnny stesso e infine di nuovo avverso alle sue idee per chissà quale assurdo e inspiegabile motivo.
Lo stesso si può dire per i tempi con cui sono raccontati le varie vicende: se i primi ¾ della vicenda sono narrati con la giusta dose di suspence e avventura, il finale sembra lasciato al caso, buttato li in un angolo come un sacco di patate di cui liberarsi al più presto per non soffocare sotto il suo peso.
Anche il cast mostra i suoi alti e bassi: se R. Carlson nei panni di Johnny e C. Drake in quelli di Matt risultano assai credibili, B. Rush come Ellen è a dir poco odiosa, personaggio stereotipato tipico del genere tutta urli (non mi dite che non vi viene voglia di tapparle la bocca!) e abbracci calorosi al protagonista.
Gli effetti speciali, a parte alcune magnifiche esplosioni, risultano nella media con una caduta di tono nella visione dell’ alieno (capisco che i ragazzini volessero solo quello all’ epoca ma qui si sfiora davvero il ridicolo!)
La regia invece, pur se ancora acerba, mostra molti pregi: la visione soggettiva dell’ alieno all’ inizio della pellicola e in certe particolari scene è qualcosa di estremamente innovativo per l’ epoca e sarà ripreso e migliorato da molti altri registi più tardi così come la visione “magica e sospesa” che Arnold ci da del deserto sarà fonte di ispirazione per molta altra sci-fi a venire (basti pensare ad “Assalto alla Terra” dell’ anno successivo, ambientato proprio nello stesso luogo).
La fissa per i ragni di Jack Arnold si fa sentire per la prima volta qui (sarà poi ripresa in “Radiazioni bx distruzione uomo” e diventerà protagonista in “Tarantola”) in una breve scena, così come non mancano i tipici dialoghi semifilosofici diventati veri e propri inni di quegli anni. Ad esempio John parla con l’ amico scienziato Snell a proposito della sua visione degli alieni:
“Mi aspettavo più comprensione da voi che non dagli altri, siete un uomo di scienza!”
“Per questo sono meno incline alla magia”
“Non di magia qui si tratta ma di immaginazione, disposizione a credere che vi sono molte cose che non conosciamo”
Oppure il dialogo sulla diversità tra John e Matt:
“Vedete quel ragno? Perché ne avete paura? Perché ha 8 zampe. Perche muove la bocca lateralmente anziché dall’ alto in basso. E così distruggete tutto ciò che vi fa ribrezzo.”
Vero e proprio simbolo del messaggio principale che la pellicola ci vuole trasmettere: il diverso non è sempre avverso all’ uomo, è semplicemente altro rispetto a noi che però tendiamo sempre a identificare come nemico e minaccia.
Insomma che dire?
Sono sicuro che se non avessi visto prima “Radiazioni bx distruzione uomo” sarei rimasto più impressionato da questa pellicola, ma così non è andata e non mi rimane che constatare che Jack Arnold saprà fare molto di meglio negli anni successivi rispetto a questa seppur buona pellicola.
REGIA: Jack Arnold
ANNO: 1953
GENERE: Fantascienza
VOTO: 7 (voto revisionato dopo aver visto l' intera filmografia disponibile di Arnold: 8)
QUANTO è JACK ARNOLD STYLE: 8
CONSIGLIATO A CHI: Ama la sci-fi apparentemente ingenua degli anni ’50, non sa resistere al fascino di vedere l’ ennesimo alieno “mostruoso”.

mercoledì 8 agosto 2007

AELITA- THE QUEEN OF MARS

Se qualche tempo fa (anche solo un anno!) qualcuno mi avesse chiesto se volevo guardare un film muto in bianco e nero sovietico del ‘24 credo che avrei inforcato un paio di occhiali neri e avrei fatto finta di essere cieco.
Perché?
Semplicemente per un motivo: non ne avevo la benché minima voglia.
E ora cosa è cambiato?
Ci credete se vi dico che non è la più pallida idea? Se mi guardo indietro non vedo nessun evento significativo che mi possa aver fatto cambiare così drasticamente idea, solo la semplice umana (e forse un po’ personale dato che mi è successo così anche in musica) curiosità di sapere cosa c’ è alle origini.
Cosa c’ era prima dei kolossal degli anni 2000 tutti pieni di effetti speciali ambientati nello spazio? E prima di certe apocalittiche visioni anni ’80 colme di azione a non finire?
E prima di certa fantascienza culturale degli anni ’60 e ’70 (un titolo per tutti: “2001 Odissea nello spazio”)?
E prima della science fiction anni ’50 tanto banale quanto piena zeppa (non in tutti i casi certo, a volte si esagera nel dare significato a cose insignificanti!) di significati nascosti? (E viva le ripetizioni tanto odiate dalle professoresse e maestre di ogni scuola!).
Eccoci arrivati.
Siamo all’ inizio del secolo passato ( fa sempre la sua bella figura dirlo!) quando tale Méliès (un tizio che ha semplicemente inventato gli effetti speciali, il cinema di fantascienza e se vogliamo quello horror) dirige un certo “Viaggio nella Luna”, considerato il primo film di fantascienza.
Falsa partenza! Questa è un’ altra storia (quindi un’ altra recensione!).
Siamo invece nel ’24 quando viene prodotto il primo kolossal sovietico di fantascienza nonché quello che può essere considerato a tutti gli effetti uno dei primi lungometraggi del genere.
Di durata di poco inferiore alle 2 ore, il film è tratto da un romanzo di Aleksej Tolstoj (che attenzione non è quello originale ma quello taroccato, solo lontano parente con il grande Lev Tolstoj!) scritto nel ’22, ma ne perde alcune caratteristiche.
Se il libro era principalmente un’ opera di fantascienza con sullo sfondo la situazione politica Russa dell’ epoca, il film è esattamente l’ inverso: una storia che prende la fantascienza come strumento per raccontare la storia Russa (o quel che si voleva far credere esserlo) del periodo.
Qualcuno ha per caso detto film di propaganda?
Nooo, ma neanche un po’!
Gussev, uno dei protagonisti della pellicola, dopo varie peripezie riesce ad andare su Marte e sul posto incita gli schiavi lavoratori marziani congelati in celle frigorifere a ribellarsi al duro regime di Tuskub (che assomiglia leggermente a un perfido Zar).
“Unite into a family of workers in a Martian union of Soviet Socialist Republics”
“The freedom of speech put an end to thousands of years of slavery on Mars”
Una scena in cui compare la scritta 25 ottobre 1917 seguita dalle immagini di un uomo che si libera dalle catene e da un’ altra in cui viene prodotto con il duro lavoro il falcetto simbolo di un’ intera nazione.
Vi sembra propaganda a voi? Certo che siete proprio malfidenti!
Ma, come dice qualche vecchio saggio, c’ è sempre un ma.
In questo caso c’ è da considerare ad esempio il fatto che, al di la della propaganda, ci si trova davanti a un gran film: la storia di Loss che riceve un segnale incomprensibile alla radio (Anta Odeli Uta, primo esempio nel cinema di quella che sembra essere una lingua extraterrestre) e decide di recarsi su Marte dove immagina che risieda la regina Aelita capace, grazie ad un telescopio inventato da Gor, di vedere tutto ciò che accade sulla Terra, è stata a dir poco saccheggiata da migliaia di film di genere e non che sono venuti dopo.
Se poi si prende in esame la storia di Loss, geloso della moglie e del viscido Elrich, che viene messa in parallelo con la storia d’ amore tra lo stesso protagonista e Aelita (addirittura con alcune memorabili scene sul finale in cui il personaggio della regina viene sostituito in brevi sequenze da quello della moglie) allora si comprende davvero tutta la grandezza di questa pellicola.
Un finale fantastico quanto spiazzante riutilizzato decine di volte in altre pellicole (se volete rovinarvi la sorpresa andate pure su wikipedia ma io lo sconsiglio sempre), uno scambio di persona (quello tra Loss e il collaboratore Spiridonov) semplicemente epocale, un’ inattesa comprensione di quella che sembrava essere una lingua aliena (e qui non ditemi che non avete mai visto una pellicola utilizzare lo stesso uguale identico espediente!), una visione degli abitanti di Marte come freddi esseri incapaci addirittura di baciarsi e per questo gelosi dei Terrestri e delle loro emozioni (e anche qui prolificano le storie ispirate a ciò!): Aelita è tuto ciò e molto di più.
Se non bastasse la rappresentazione della Russia comunista (che seppur idealizzata risulta comunque abbastanza verosimile), la storia fantascientifica ambientata prima sulla Terra e poi su Marte saccheggiata da altri cento film e la tormentata storia d’ amore tra Loss e Natasha ecco che, al calderone, si aggiunge una parte comica, rappresentata dall’ aspirante investigatore Kravtsov capace di farci ridere con sole due o tre scenette tanto brevi quanto divertenti.
Se a un film capace di mescolare così tanti ingredienti insieme senza stancare nè risultare banale (oggi quando vengono tentati certi esperimenti di commistione tra generi vengon fuori al 90% delle pellicole ignobili) aggiungete attori dalla straordinaria mimica facciale (e come potevano non esserlo nell’ epoca del muto?) come Nicolai Tsereteli (Loss), Valentina Kuindzij (Natasha) e Pavel Pov (Elrich, viscido e disgustoso come pochi! A me ricorda un po’ Vermilinguo del “Signore degli Anelli”) non potete che inchinarvi di fronte a un vero e proprio capolavoro.
Certo, non vi vengo a dire di guardarlo dopo una peperonata o un pranzo da matrimonio perché due ore di film muto dopo certe esperienze farebbero addormentare anche un cavallo ma vi assicuro che, se una sera volete godervi una pellicola storica con molte pretese (si, le pretese di essere un gran film ci sono da parte dei produttori e del regista e si vede), allora andate sul sicuro: Aelita, sono certo, non vi deluderà!
REGIA: Yakov Protazanov
ANNO: 1924
GENERE: Fantascienza, propaganda
VOTO: 9
QUANTO POTETE GIOCARE A TROVARE SCENE E TEMI RIPRESI E TRATTATI IN ALTRE PELLICOLE: 10
CONSIGLIATO A CHI: Ama il cinema muto e i suoi straordinari attori, ama la fantascienza primordiale, apprezza un film di due ore in cui accade tutto e nulla (se confrontato ai film di oggi).

sabato 4 agosto 2007

THE GRADUATE- IL LAUREATO


Benjamin è un pesce fuor d’ acqua nella società di oggi.
Per quanto si sforzi, tra i suoi parenti, tra gli amici di famiglia, persino nella sua piscina vestito da sub, Ben si sente mancare il respiro.
In hotel, indeciso se chiedere una stanza dall’ angolo della reception per entrare finalmente a far parte di un mondo non suo, Ben dice di non essere un invitato.
Finalmente in grado di respirare Ben passa dal letto con la sua amante al letto di casa sua, fino ad arrivare al materassino in piscina dove ammette che: “Sto andando alla deriva, comodo andare alla deriva qui” .
Alla notizia dell’ invito della famiglia Robinson a casa sua Ben ricade in acqua, di nuovo incapace di respirare all’ aria aperta, tenta di fuggire al canto della bella sirena, ma scopre che solo lei può dargli quell’ ossigeno di cui tanto necessita.
Ma il peccato originale non si cancella, il prezzo da pagare per aver tentato di entrare in un mondo non suo è la perdita di tutto, compresa la meravigliosa sirena che si allontana velocemente dal peccatore per cercare di avvicinarsi a sua volta a quel mondo estraneo dove regna un ragazzo distinto dai capelli impomatati e la pipa in bocca.
“Tutta la mia vita è un tale niente, tempo buttato. […] È capitato, un’ altra cosa che è capitata come tante altre”.
Ma le fiabe, si sa, hanno tutte un lieto fine.
Penserete che io sia impazzito.
Penserete anche, lo so, che sono diventato dislessico, o qualcosa del genere, ma se siete arrivati a questo punto sapete che non è così.
Penserete, di questo ne sono sicuro, che un tale capolavoro non merita una così insensata recensione.
Pensate quello che volete.
Credo che almeno tre quarti di voi abbiano visto questa pellicola (no? e cosa aspettate? Non riducetevi come me a vederla solo ora!) e che almeno la metà dei cineblog abbia una recensione del “Laureato” in bacheca.
Credo che sarebbe stato inutile mettermi li a spulciare i vari wikipedia, mymovies o quello che volete per tirarne fuori la solita recensione che potete leggere da qualsiasi parte.
Certo, la regia di Mike Nichols è meravigliosa a tal punto da vincere un oscar (strameritato dopo il lavoro fatto anche per “Chi ha paura di Virginia Woolf”), due scene per tutte: quella dell’ addio della signora Robinson appoggiata ad un angolo mentre la telecamera si allontana e quella della discesa in piscina di Ben con la maschera (senza contarne un' altra decina).
Senza dubbio Dustin Hoffman fa impazzire con una recitazione a dir poco perfetta, la Bancroft è una bomba di sensualità e la Ross è la dolcezza fatta ragazza.
Sicuramente certi dialoghi (uno sta proprio qui dal caro Steve) e certe scene meravigliose non possono non essere ricordate: l’ annuncio di Ben ai genitori della sua volontà di voler sposare Elaine (a tal proposito mi chiedo perché Steve non l’ abbia già messa nel suo archivio!) e la scena finale del matrimonio (poi ripresa nei Simpson con nonno Simpson a cercare di evitare il matrimonio della sua amata con il signor Burns).
Ma volete mettere il gusto di sedervi tranquilli e godervi una delle più belle commedie della storia del cinema con una colonna sonora mai così perfetta (Simon e Garfunkel signore e signori!) senza altra preoccupazione che non sia il domandarvi se Deneil nell’ inizio di quella cazzo di recensione sul “Laureato” ha scritto qualcosa di davvero sensato o abbia voluto prenderci in giro un po’ tutti?
Benjamin è un pesce fuor d’ acqua nella società di oggi.
REGIA: Mike Nichols
ANNO: 1969
GENERE: Commedia
VOTO: 10 (senza alcun dubbio!)
QUANTO è FINE ANNI 60: 9
CONSIGLIATO A CHI: Vuol vedere un meraviglioso classico del cinema incredibilmente ancora attuale, vuol assistere a una delle recitazioni migliori di Hoffman, vuol sentirsi dire dalla propria ragazza: “Ma tu lo faresti per me?”

mercoledì 1 agosto 2007

UN LIBRO UN FILM_ THE INCREDIBLE SHRINKING MAN

-THE INCREDIBLE SHRINKING MAN- 3 MILLIMETRI AL GIORNO
-THE INCREDIBLE SHRINKING MAN- RADIAZIONI BX DISTRUZIONE UOMO




Premessa: questa recensione riguarda il libro e il film che ne è stato tratto, cercherò di dare una descrizione esauriente dei due mettendo in risalto le differenze che si hanno con la trasposizione su pellicola. È un esperimento, fatemi sapere cosa ne pensate.
IL LIBRO
Richard Matheson.
Se non avete la minima idea di chi sia vi dico solo 3 cose: questo simpatico signore è ammirato da gentucola come un tale Ray Bradbury (no questo non vi dico chi è!) e mr Stephen King, ha scritto i soggetti e le sceneggiature delle puntate più celebri di una serie cult come “Ai confini della realtà”, tra i suoi innumerevoli racconti si trovano “Duel” (S. Spielberg vi dice niente?), “Io sono leggenda”(il film di prossima uscita con Will Smith vi ricorda qualcosa?) e “Tre millimetri al giorno”.
Oggi mi occupo dell’ ultimo racconto citato ma mi riprometto di dirvi ancora qualcosa su questo simpatico vecchietto in una prossima recensione.
Nel 1956 Richard Matheson ha un idea, influenzato senza dubbio dal clima di terrore verso le armi atomiche in generale vissuto in quegli anni, decide di scrivere un racconto su di un uomo investito da una nube tossica, che si rende conto, dopo alcuni giorni di scetticismo, di stare rimpicciolendo 3 millimetri al giorno.
Visitato dai migliori specialisti del Paese Scott Carey continua a rimpicciolire fino a raggiungere l’ altezza di un nano prima e quella di una bambola dopo.
Ma il processo non si arresta e, finito nello scantinato per un tragico incidente con il gatto di casa, il protagonista non riesce più a risalire in casa e si adatta alla vita nel suo nuovo mondo, pieno di insidie di cui la vedova nera è la migliore rappresentante.
Mi fermo qui.
Non ricordo dove su internet in qualche stupida recensione di qualche stupido dizionario qualche genio ha deciso di scrivere il finale e io da buon pirlone me lo son letto, rimanendo così a bocca asciutta a fine libro. Non voglio che vi accada la stessa cosa.
Ma la bravura di Matheson non sta solo nella trama che verrà ripresa e adattata da molti film di fantascienza e non solo (basti pensare a “Tesoro mi si sono ristretti i ragazzi” e compagnia bella), colma di quelli che diverrano veri e propri luoghi comuni della science fiction anni ’50: il ragno gigante e la nube radioattiva tanto per dirne due.
La forza della sua scrittura sta nella capacità di farci entrare nel mondo di Scott, è una scrittura che, un po’ come quella di King oggi, va per immagini e riesce a far nascere dentro la nostra testa un vero e proprio film, con protagonisti, luoghi e tempi ben definiti. Se si aggiunge poi che il libro letto oggi risulta ancora fresco e piacevole come un tempo (provate a leggere certa fantascienza anni ’50 e poi ditemi se avete la stessa sensazione!), non si può far altro che inchinarsi al puro talento del Nostro.
Il problema è che non è finita qui: così come “L’ invasione degli ultracorpi” non può essere visto solo come uno sciocco film da intrattenimento, anche “Tre millimetri al giorno” non può non suscitare più di una riflessione.
La progressiva diminuzione di altezza del protagonista non è vista da Matheson solo come un pretesto per nuove avventure ma come metafora piuttosto esplicita di perdita di potere dell’ uomo sul suo mondo.
Ad un tratto Scott comprende, ad esempio, che non può avere più alcuna autorità sulla piccola figliola se è più basso di lei perchè “Un bambino ragiona in modo semplice. Rispetta la grandezza e la profondità della voce […] Un padre era immutabile. Ci si poteva contare, non cambiava mai. Scott stava cambiando.”
Questo, insieme alla pretesa di Carey di poter stare insieme ad una nana almeno per una notte perché finalmente a suo agio, sono i simboli di quanto la grandezza di un uomo nel mondo di oggi non si basi più sulla sua nobiltà d’ animo o meno ma su aspetti esteriori: la fama, i soldi (la prima preoccupazione del protagonista è in effetti la perdita del suo lavoro e la consapevolezza di non poter più dare sicurezza economica alla sua famiglia), addirittura l’ altezza fisica.
A questa critica della società di oggi si collega quella del sistema della comunicazione di massa che fa dell’ uomo che rimpicciolisce un caso mondiale portando il protagonista sull’ orlo di frequenti crisi di nervi, ossessionato dalla stampa di tutto il mondo, infine costretto a vendere la sua storia (e quindi il suo corpo) a un popolo affamato di notizie, non più in grado di vivere senza l’ interesse e il disprezzo per l’ altro, per il diverso (tutto ciò mi ricorda molto l’ Italia di oggi: Corona, il finto una bomber, bla bla bla).
Il secondo tema che mi preme sottolineare (e che interessava molto anche Matheson) è la consapevolezza del piccolo scherzo della natura (come Scott chiama se stesso) di essere comunque un uomo, nonostante la sua altezza, quindi dotato di un intelligenza più fine rispetto alle altre creature e capace ancora una volta di dominare la natura, anche se a livello minore.
L’ onnipotenza dell’ uomo e la sua infinita voglia di essere l’ unico a poter decidere riguardo la sopravvivenza del resto degli esseri viventi sono sottolineati dallo scrittore nel momento in cui il protagonista decide, nonostante sia ormai all’ ultimo giorno di vita, di uccidere il ragno a qualsiasi costo.
Infine ci sarebbe un terzo tema, che si sviluppa essenzialmente nel finale e che quindi eviterò di approfondire troppo ma che è legato essenzialmente al secondo e riguarda la cecità dell’ uomo quando si tratta di vedere oltre la sua misura, oltre al suo delirio di onnipotenza su tutto ciò che è visibile.
Insomma: se dovete ancora andare in vacanza, se come me passerete il 15 di agosto a casa senza far nulla, se avete un’ oretta libera di tempo la sera vi consiglio la lettura di questo fantastico libricino, vi assicuro che non rimarrete delusi dal piccolo Scott e dalle sue avventure e magari avrete anche qualche spunto interessante di riflessione che io non ho notato.
IL FILM
Innanzitutto voglio chiarire una cosa: non sono uno di quelli che vedendo un film tratto da un libro si aspettano ogni scena identica a quella immaginata durante la lettura.
Oltre che impossibile (ognuno ha una sua visione nella testa) risulterebbe tutto estremamente noioso, che senso avrebbe rileggere una seconda volta il romanzo con le immagini?
L’ importante in una trasposizione è non tradire lo spirito del racconto (come avviene spessissimo nelle pellicole tratte dai romanzi di King tanto per fare un esempio).
Dunque?
Dunque non lo so!
Se da una parte la trama è rispettata con i dovuti cambiamenti (grazie anche al fatto che sceneggiatura e soggetto sono dello stesso Matheson) forse alcune riflessioni che il libro può suscitare vengono completamente perse in un film pensato appositamente per un pubblico adolescenziale da drive in americano.
Vengono a mancare totalmente due personaggi decisamente importanti nel libro come la figlia di Scott e la sua babysitter e quindi il tema dell’ impotenza di un uomo piccolo nella società d’ oggi viene solo sfiorato e non ben approfondito.
Ma ciò che più viene tralasciata è la componente sessuale: se nel libro di Matheson l’ impotenza sessuale del protagonista rimpicciolito si fa sentire ad ogni pagina fino al desiderio perverso per la babysitter della figlia, nel film tutto ciò che riguarda il sesso e Scott viene saltato a piè pari se non nelle poche scene con Nanà (la nana).
Viceversa la trasposizione in immagini ben sottolinea la pressione ossessionante della stampa e spinge l’ acceleratore sul versante delle avventure di Scott in cantina.
La pellicola diventa così un ottimo prodotto di intrattenimento, con la giusta tensione e ottimi effetti speciali (certo tutto deve essere considerato rispetto all’ epoca in cui fu prodotto!) fino ad arrivare al meraviglioso finale, addirittura superiore, a mio parere, a quello del romanzo.
La regia di Jack “Mostro della Laguna Nera” Arnold è impeccabile (da notare tra le altre cose la presenza di un cartello con su scritto “Keep your city clean” esattamente di fronte al circo in cui si esibiscono vari “mostri” come Nanà) e grazie al primo uso dei nuovi (allora si intende) obiettivi a focale variabile della zoomar corp. detti zoom e ai modellini in scala il rimpicciolimento del bravo Grant Williams nei panni di Scott risulta estremamente credibile (addirittura Arnold passò settimane intere a filmare gatti e ragni per rendere tutto più credibile!).
La pellicola vinse nel 1958 il premio Hugo, maggior riconoscimento per la fantascienza.
Avrei voluto esserci il giorno della prima proiezione al drive in, tra decine di adolescenti a bocca aperta di fronte all’ ennesima meraviglia del cinema: assistere ad un uomo rimpicciolito alle dimensioni di un ragno a lottare per la sua sopravvivenza tra enormi spilli e giganteschi barattoli deve essere stato davvero un bello choc per l’ epoca.

TRE MILLIMETRI AL GIORNO
AUTORE: Richard Matheson
ANNO: 1956
GENERE: Science fiction anni ‘50
VOTO: 8,5

RADIAZIONI BX DISTRUZIONE UOMO
REGIA: Jack Arnold
ANNO: 1957
VOTO: 7,5 (voto revisionato dopo aver visto l' intera filmografia disponibile di Arnold: 8)

GENERE: Science fiction anni ‘50
QUANTO è FISSATO COI RAGNI JACK ARNOLD: 9 (vedi “Tarantola” e “Destinazione Terra”)
CONSIGLIATO A CHI: Ama il genere, vuole vedere come si faceva un film incredibile con effetti speciali oggi irrisori, ama Jack Arnold, ha un' oretta da dedicare ad una lettura da svago.