giovedì 28 gennaio 2010

UN LIBRO UN FILM_ STARSHIP TROOPERS

Leggermente preso dal periodo-esami ma così finisco il percorso su Starship Troopers.


Ci sarebbe da dividere questa recensione in due parti.

Quel che penso del libro a se stante.
Il libro di Robert A. Heinlein datato 1959 è esattamente il tomo di fantascienza che ti aspetti edito dalla Nord, quella simpatica casa editrice i cui libri si trovano a milioni negli scaffali della fantascienza usata solitamente di colore argentato o dorato (vengo a sapere ora che i volumi dorati sono i classici e quelli argentati i contemporanei).
Tomi (il cui autore non compare quasi mai sulla costa del libro per motivi a me oscuri) spesso illeggibili se non dannosi per l’intelligenza umana: avventure spaziali americane tipiche degli anni ’50 con eroi e cowboy spaziali che combattono contro creature improbabili ma sempre e comunque cattivissime per salvare una donna o un’intera nazione-pianeta-galassia.
Prendete Conan di Howard, un film di cowboy degli anni ’40, qualche futuribile e ridicola arma spaziale e metteteli in un bel frullatore: ecco un buon (???) libro dorato per la Nord.
Starship Troopers a queste caratteristiche fondamentali aggiunge un sottotesto di critica alla nostra società odierna, una critica ai metodi spesso troppo indulgenti verso i criminali e al cosiddetto diritto di voto universale portata avanti con argomenti validi che fanno pensare a un’ idea politica decisamente contrastante con quella dei nostri tempi.
Quel che Heinlein vuol far comprendere è che la sua società futura non è una società fintamente utopica come quella di Huxley ne “Il mondo nuovo” ma un serio progresso della democrazia dei nostri tempi.
Ora immaginatevi 350 pagine.
Di queste 350 pagine una cinquantina dedicate alla descrizione di questa società del futuro e alla sua politica e le restanti 300 da addestramenti (la parte più interessante) e infinite battaglie contro aracnidi e esseri oblunghi con descrizioni particolareggiate dei movimenti dell’esercito e delle decisioni spettanti ai comandanti, tenenti, sergenti, soldati semplici e così via.
Ora.
Al di là del fatto che per chi non ha mai avuto nozioni militari (e non si è mai interessato ad averne) è abbastanza delirante comprendere i vari gradi di comando e i vari schieramenti in battaglia, ci si può concentrare per 20 pagine sulla descrizione di una tuta potenziata usata per combattere?
Può anche essere stata un idea innovativa, geniale e ben sviluppata tanto da aggiudicarsi un premio Hugo nel ‘59 ma sinceramente oggi è qualcosa di quantomeno pesante se non ridicolo (si legga idea invecchiata male).
Sento che se leggessi un libro di cucina oggi non vorrei soffermarmi per 20 pagine sulla descrizione di una patata geneticamente modificata da usare in futuro per migliorare il mio riso con patate.
Poi magari, forse, molto probabilmente, nel futuro tutti useranno la patata geneticamente modificata per il loro riso con patate e ne tesseranno le lodi (di forma oblungamente perfetta, senza un baffo e deliziosa al palato) ma comunque si, sono noiosamente inutili queste avveniristiche 20 pagine sulla PGM.
Insomma il libro di Heinlein è sicuramente un libro ben scritto e su questo non si discute, che scorre via velocemente come nessun tomo della Nord è in grado di fare (almeno tra i letti) e presenta anche spunti interessanti su un’ ipotetica società militarizzata del futuro ma si ferma appunto a ottimi spunti che non vengono sviluppati a sufficienza rispetto ad una trama principale fatta di battaglie alla lunga frangipalle.
Quel che penso del libro rispetto al film.
Ho già parlato a lungo della trilogia di Starship Troopers cinematografica (di cui solo la prima pellicola si ispira esplicitamente al romanzo di Heinlein) quindi cercherò di non dilungarmi troppo concentrandomi giusto su pochissimi aspetti.
La società utopica di Heinlein è in Verhoeven una società falsamente utopica e il regista non fa altro che ripeterlo ossessivamente con i vari video di propaganda fascio-militare sparsi per tutto il film.
Sarà una lettura sballata di Verhoeven, sarà una volontaria rilettura, fatto sta che sembra davvero di stare di fronte a due società simili nei fatti ma opposte nell’idea che vogliono trasmettere.
Discorso diverso per l’esercito: se i fanti sono in entrambi i casi carne da macello, quello che Heinlein sottolinea più volte è il numero eccessivo di volontari che invece a Verhoeven non sembrano bastano mai.
L'esercito-bordello in cui uomini e donne si lavano e si strusciano insieme non era esattamente l’idea dello scrittore che fa della mancanza del sesso femminile una delle “malattie” di questi uomini superaddestrati.
Infine le tute potenziate.
Heinlein ne parla per 20 pagine approfonditamente, ne descrive ogni minuzia e durante ogni battaglia tiene a precisare come questa guerra del futuro sia molto diversa da quella di oggi grazie ad esse.
Va bene, Heinlein esagera nel descriverle e nel farle notare ad ogni possibile frangente ma a Verhoeven ste benedette tute potenziate cosa avranno fatto di male?
Forse nel ’97 non c’erano effetti visivi sufficienti, forse non gli sembravano importanti, forse semplicemente gli stavano in culo ma perché eliminarle del tutto dal film per poi farle comparire (in una versione moooolto personalizzata e tamarra) nel terzo film (di cui Verhoeven è produttore) che, se possibile, a livello visivo è ancora peggio?
Ruggeri cantava “Mistero!”
AUTORE: Robert A. Heinlein
ANNO: 1959
GENERE: Fantascienza
VOTO: 6,5
CONSIGLIATO: ai cultori della fantascienza più classica.

NOTA: Al momento di pubblicare controllando su internet scopro che il libro di Heinlein è stato pubblicato dalla Nord, non so se meravigliarmi della mia intuizione o rivalutare un poco la bistrattata Nord.

sabato 16 gennaio 2010

AVATAR

Finalmente.

C'è poco da dire.
3Damente parlando (così Cameron quando legge è contento se lo metto al primo posto) siamo a livelli improponibili rispetto al presente.
È come se 18 anni fa qualcuno avesse reso credibile un personaggio che si scioglieva e si ricreava come se nulla fosse.
Come se con 4 milioni di dollari e 36 giorni a disposizione sul finire degli anni ’80 potessi fare un film di fantascienza credibile.
Come se nel ’97 uno potesse ricreare un transatlantico in scala 1 a 1 spendendo 200 milioni di dollari e andare ancora in attivo di centinaia e centinaia di milioni dollari.
Ecco è un po’ una cosa così..
Non siamo al luna park, Cameron se ne sbatte di oggetti che ti vengono addosso e corse folli su carrellini da minatori, ti prende la testa e te la immerge in una vasca da cui non vorresti mai riemergere.
Si, graficamente parlando è una rivoluzione.
Storicamente parlando siamo sui livelli di un “Pocahontas”, “Battaglia per la terra”, “Braveheart” e chi più ne ha più ne metta.
Leggasi: uomo del popolo X che entra nel popolo Y per studiarlo e distruggerlo ma infine se ne innamora e comprende che il popolo bastardo è X, non Y.
No Cameron, non è assolutamente niente di nuovo, nemmeno il fatto che noi umani siamo alieni è innovativo (tanto per dirne uno recente “Placet 51”).
Si Cameron, è sempre una storia esaltante non posso darti torto.
Personaggisticamente parlando siamo dalle parti delle accette.
La dove i personaggi son tratteggiati col machete e persino il protagonista viene trascurato per far spazio a Pandora.
Pandoristicamente parlando: Sbav (Si veda Ratman per traduzione di sbav).
Fantascientificamente parlando: luce dei miei occhi.
Un “District 9” avrà una storia molto più innovativa, un “Terminator Salvation” sarà molto più apocalittico, Un “Il mondo dei replicanti” avrà un protagonista molto meglio tratteggiato ma un fan di fantascienza, fantasy e fantasia in generale non può che inginocchiarsi e sbavare ettolitri di bava fumante per tanto spettacolo chiuso in 2 e 40.
E ne vorresti ancora di più.
Vorresti vedere come vive il popolo del mare.
E quello delle pianure.
E scoprire ancora di più le montagne fluttuanti.
E esplorare tutta Pandora.
E cosa mangiano i Na’vi.
E qual è la loro storia.
E chi sono i loro antenati.
E com’è strutturata la loro famiglia.
E come vanno in bagno.
Ti prego Cameron.
Ancora.

REGIA: James Cameron
GENERE: fantascienza, fantasy.
ANNO: 2010
UNA PAROLA: portatevi un bavagliolo per la bava.
VOTO: 10-

venerdì 8 gennaio 2010

TRE CLASSICI UN MITO: STARSHIP TROOPERS

Due settimane di vacanza e si riprende...con un perdonabile giorno di ritardo.

STARSHIP TROOPERS: LA FANTERIA DELLO SPAZIO

STARSHIP TROOPERS 2: HERO OF THE FEDERATION- STARSHIP TROOPERS 2: GLI EROI DELLA FEDERAZIONE

STARSHIP TROOPERS 3: MARAUDER- STARSHIP TROOPERS 3: L’ARMA SEGRETA



A vedere certi film a volte ci si fa un torto.
Quelle pellicole con cui si è cresciuti, che si sono viste una o mille volte ma che inevitabilmente (e a volte inspiegabilmente) rimangono nella memoria.
Passano settimane.
Mesi.
Anni.
E ogni giorno il nostro simpatico cervelletto sovraccarico di immagini e ricordi di ogni genere si diverte a cancellare, ingigantire e reinventare particolari su particolari.
Io Starship Troopers lo ricordavo più o meno così: quel film che ci sono gli insettoni giganti su un pianeta e gli uomini vanno per ucciderli ma vengono tutti smembrati brutalmente.
Grossolanamente sarebbe anche accettabile come storiella da raccontare al bar il mattino dopo.
Non grossolanamente e rivedendolo almeno 8 anni dopo l’ultima volta si scoprono elementi più o meno incredibili per i miei ricordi annebbiati.
Innanzitutto Verhoeven regista, lo stesso malato di mente di quegli altri due cult visti e stravisti da bambino di nome Robocop (quello che lui all’inizio lo maciullavano e poi tornava mezzo robot e uccideva tutti e c’avevo anche il gioco dell’Amiga) e Atto di Forza (quello con Schwarzenegger che andava su marte e alla fine c’era la scena che lui si salvava con tutte le vene in testa che gli stavano per scoppiare e, particolare non trascurabile, una donna con tre tette).
In secondo luogo l’anno di uscita: il 1997, non così vecchio come pensavo.
Infine, cosa (forse) più importante, il film.
Quello con gli insettoni sul pianeta alieno che smembravano tutti si, ma soprattutto quello che nella prima ora ci mostra un futuro molto Robocopesco in cui scene di addestramento militare per la fanteria spaziale si alternano a folli slogan per il reclutamento sui fantomatici schermi delle tv del futuro.
Quello in cui a recitare sono chiamati i peggiori bellocci da Beverly Hills che Verhoeven potesse trovare sulla piazza e in cui gli effetti speciali (eccezion fatta per gli insettoni, mostruosi e credibili) sono al livello di uno Star Trek qualsiasi degli anni ’80.
Quello che a vederlo oggi è uno dei film di fantascienza più stranamente trash che si possano immaginare: con quei modelli e modelle che si aggirano per lo schermo con battute da film di serie C ed espressioni da telenovela nello spazio.
Ci sarebbe da ridere per ore ma Verhoeven mette qualcosa in quegli “spot- slogan” militareschi che inquieta.
O meglio.
È qualcosa che stona.
Quasi si volesse fare un film volutamente trash e pieno di messaggi fin troppo espliciti (qualcuno su internet ha il coraggio di parlare di sottili metafore… manca solo il faccione di Verhoeven che urla al pubblico quel che pensa dell’esercito e degli Usa in generale ed è un documentario di Michael Moore!) per prendere in giro a sua volta un modo di fare cinema (quello della fantascienza anni ’30 prima e anni ’80 poi) volgarmente americano.
Il dubbio che Verhoeven ci faccia o ci sia (da quel che ricordo ora di Robocop e Atto di Forza) rimane e forse si rafforza.
Quel che è certo è che Starship Troopers rimane un film sicuramente particolare nel suo genere, direi anche “difficilmente giudicabile” data l’assurda volontarietà di cadere nel ridicolo-spazzatura in ogni suo elemento.
Non ci vuole molto coraggio a dire che se fosse stato girato dalla Troma (dico Toxic Avenger ) e non voglio aggiungere altro) un film come questo sarebbe entrato di diritto nell’olimpo dei film caciaroni visibili solo in gruppo sotto l’effetto di troppo alcool.
Il fatto che sia stato girato da Verhoeven lo ha trasformato invece in un cult di (ormai) altri tempi in cui molti (compreso me stesso) sono sviati dal vedere qualcosa di così grossolanamente brutto e famoso e doverci cercare obbligatoriamente un significato nascosto o almeno una volontaria tendenza alla spazzatura.
Apro e chiudo una parentesi che tanto parentesi non è: il discorso fatto negli ultimi 2 capoversi è il simpatico sunto di quel che penso di molti film di registi ormai diventati intoccabili per una critica pecorona che non sa far altro che ripetersi e attorcigliarsi su se stessa in un elogio dei soliti noti. Tutto ciò, se proprio vogliamo ricordarlo, è anche il motivo per cui ho aperto questo blog.
Chiusa parentesi.
REGIA: Paul Verhoeven
ANNO: 1997
UNA PAROLA: Trash d'autore?
VOTO: 6,5



Uno degli elementi che differenzia maggiormente questo primo episodio dal secondo capitolo di cui ho scoperto l’esistenza solo un anno fa è proprio questo: Starship Troopers 2 non è trash.
Almeno non come il primo episodio.
E non ha gli attorucoli, non ha gli effettacci speciali (su questo molti su internet dissentono ma il dubbio che il loro sia solo attaccamento emotivo (e pecorone) per il primo capitolo è forte) e nemmeno un po’ di ambiguità.
Si farebbe prima a dire l’unica cosa in comune delle due pellicole per cui qualcuno quasi dieci anni dopo è riuscito a tirar su ancora qualche soldo sfruttando un marchio abbastanza famoso: gli insettoni.
Detto questo Starship Troopers 2 è tutt’altro.
A volerlo descrivere con tre parole si potrebbe dire Alien, Pitch Black e Tremors.
Alien: nell’ambientazione cupa e claustrofobia che la pellicola assume per tutta la sua durata e nel particolare tipo di insetto che infesterà questi ultimi uomini sopravvissuti.
Pitch Black: nei colori bui e oscuri e se vogliamo nel protagonista “fuorilegge” muscoloso e dalla voce ruvida (fa quasi impressione pensarlo poi in Desperate Housewifes nei panni del normalissimo maritino Karl Mayer).
Tremors: solo e soltanto nei radar che segnano l’avvicinamento degli insettoni.
Starship Troopers 2 è molto più classicamente sci-fi-horror di media categoria del suo predecessore: gli attori sono tutti più o meno buoni, la storia si fa più """"introspettiva"""" (meno battaglie a viso aperto e più momenti di mistero-tensione-riflessione) e nonostante alcune buone sorprese tutto si può ricondurre a qualcosa di già visto e stravisto.
REGIA: Phil Tippet
ANNO: 2004
UNA PAROLA: scontato
VOTO: 6


Infine Starship Troopers 3.
Quel che più incuriosisce di questo terzo capitolo è la ripresa della storia dalla fine del primo, come se il secondo episodio non fosse mai esistito.
Sarebbe anche quasi lecito (non è sicuramente la prima volta che qualcuno se ne infischia di seguiti vari per far riprendere la storia dove si vuole) ma la presenza di Neumeier come regista e sceneggiatore fa un po’ sorridere dato che lo stesso Starship Troopers 2 era stato comunque scritto da lui.
Lavaggio del cervello?
Molto più probabilmente e semplicemente il ritorno di Verhoeven alla produzione.
E così riecco il benedetto Rico far capolino nuovamente sullo schermo con la stessa faccia di tolla di Casper Van Dien che nel frattempo ha quasi imparato a recitare.
Per il resto mancano tutti, ma basta la sua presenza per portare tutti indietro nel tempo.
Non fosse che.
Gli effetti speciali con un budget evidentemente ridicolo rispetto al primo episodio sono ancora più penosi per quanto riguarda le navicelle (quelle del 1997 erano veramente pessime, ma queste in rapporto all’anno di produzione del film sono terrificanti) e inguardabili per quanto riguarda gli insetti (nel secondo episodio a fronte di un budget ridotto si erano intelligentemente evitate scene che richiedevano troppo impegno “visivo”)
Le scenografie sono di polistirolo, le armi di gommapiuma, i dialoghi spazzatura.
Gli attori pessimi come ai bei vecchi tempi e quel tocco di humour da film della Troma (la vanga che trancia in due il soldato nella scena iniziale è quanto di più trash io abbia visto dopo Dude Postal che si divertiva a far sotto bambini e vecchiette!) da il colpo finale.
Starship Troopers 3 non sarebbe neanche un brutto film a volerlo spogliare di un qualche centinaio di difetti ma ne rimarrebbe uno scheletro sottile sottile fatto di rimandi al film di Verhoeven (le trasmissioni tv propagandistiche del futuro) e al libro Starship Troopers di Robert A. Heinlein di cui questo terzo episodio riprende uno dei temi più cari non affrontati da Verhoeven: le tute potenziate.
Che poi queste tute potenziate diventino nel finale il pretesto per una delle scene più tamarre e ridicole che io abbia mai visto in un film di fantascienza (dico solo: Padre Nostro in sottofondo, robottoni giganti con lanciafiamme che incendiano insetti giganti e un ralenty di quelli che solo Emmerich nei momenti migliori…) è tutt’altra storia.
Non c’è mai fine al peggio si dice.
Magari un bell’episodio in 3d…
REGIA: Edward Neumeier
ANNO: 2008
UNA PAROLA: trash e basta.
VOTO: 4,5