giovedì 13 novembre 2008

BASIC TRAINING- ADDESTRAMENTO DI BASE

Mi ricorderò di te come semplicemente meravigliosamente te.

Non so chi sia Frederick Wiseman.
Inutile che stia qui a tradurvi la wikipedia inglese dicendovi che è uno dei più grandi documentaristi e blablablablabla….blablablablabla.
Inutile.
E se non sapete l’inglese traducete la pagina con google.
Verrete a sapere che è un “americano documentario regista” (un documentario vivente…un po’ come Piero Angela quando entrava nel corpo umano e ci trovava la tizia che suonava il piano) e che è stato “addestrato come un avvocato” (avvocaaaato…avvocato vieni qui che ti do l’osso…BAUBAU!).
Buongiorno, siete nel 2008: imparate l’inglese.
Non so chi sia Wiseman (e neanche come si pronunci) e non ho alcuna intenzione di informarmi a riguardo prima di scrivere questa recensione.
Il risultato potrà essere un disastro dettato dalla beata ignoranza o qualcosa di serenamente innocente, neutrale forse.
Bisognerebbe star qui ore a descrivere come sia finito in un cinema del centro di Torino a vedere un documentario del 1971 di un tizio di cui avevo a malapena intrasentito il nome in un brumoso pomeriggio d’autunno.
Ma anche no.
Piove, viene voglia ad entrambi di andare al cinema e le sale del centro trasmettono solo film già visti, già iniziati o semplicemente di cui non si sa un emerita mazza.
Quindi perché scegliere “The Burning Plain” quando la rassegna mensile del Massimo è dedicata a tale Wiseman (uaismen? uisman? L’alfabeto fonetico non esiste sulla tastiera…chissà se i linguisti hanno aggirato tale insormontabile problema) e il film del giorno e dell’ora è Basic Training in lingua originale sottotitolato in italiano?
Tre euro.
Al massimo ci si fa una bella dormita come l’evidente barbone seduto dietro.
Un documentario in bianco e nero sull’addestramento base dei soldati americani in piena Guerra del Vietnam.
Come dire: mi manca la pistola ma vorrei tanto spararmi sulle balle.
Poi succedono cose di cui non ti capaciti.
Innanzitutto non ti addormenti.
Per un’ora e mezza non sbadigli neanche per mezzo secondo.
Wiseman (uomo saggio…dovevo dirla scusate…) gira un documentario tanto semplice quanto semplicemente perfetto.
Gira un documentario sull’addestramento base e lo fa diventare un film come nessun Fahrenheit 9/11 potrebbe mai esserlo.
Là dove lo sguardo è di parte e lo stile sgarbatamente documentaristico (come urlare in faccia a qualcuno: questo è vero! Questo è vero! QUESTO è VERO! VERO! CAPITO? VERO? GUARDA COME TRABALLA LA CAMERA…è VERO!), Wiseman riprende (questo me lo immagino io, licenza poetica) una mole impressionante (e con impressionante intendo un’anno di riprese) di materiale e ne fa un sunto finale perfetto.
Nel Basic Training ci mette tutto quello che chiunque immagina faccia parte di un addestramento militare: partendo da marce e marcette (con connessi cori militari), passando per uomini che strisciano con la pancia a terra e il culo in aria (“ALZA QUEL CULO DA TERRA!” urla un sergente) fino ad arrivare alle classiche situazioni da caserma da cui hanno origine il 90% dei film militari. Sfigati cronici con problemi familiari, ribelli che se ne fregano del loro Paese e secchioni militari che alla fine dell’addestramento se ne escono con improbabili discorsi sulla democrazia americana esportata in Vietnam.
Wiseman però non è Moore.
Non intervista nessuno, non fornisce dati di alcun tipo ma soprattutto non compare mai in camera per dire la sua (o per dire l’inarrivabile verità).
Wiseman fa parlare la sua telecamera.
Non è assolutamente descrivibile a parole (perlomeno io non sono in grado) come un obiettivo puntato sugli scarponi dei marcianti possa portare dentro lo schermo più i qualsiasi parola o altra immagine.
La telecamera di Wiseman è il sergente di ferro che consola con voce ferma lo sfigato mentre lo aiuta ad allacciarsi gli scarponi, è il ragazzo nero che racconta con un inglese inascoltabile (nel senso che senza sottotitoli poteva benissimo parlare lo swahili per quanto ci capivo) la storia di quella ragazza del suo Paese, è la spiegazione della reincarnazioni da parte di un altro, è quello scarpone ripetuto per cento che sbatte sulla terra ad un centimetro dal tuo naso mentre un “Left, Right, Left, Right” continua ad aleggiare nell’aria.
Wiseman non da giudizi.
O perlomeno non ce li sbatte in faccia come se fossero bisteccazze da cuocere in padella.
Wiseman regala immagini.
Immagini e parole vere (queste si, riprese direttamente da quegli attori consapevolmente inconsapevoli, che hanno ruoli ben definiti nella scrittura finale del documentario) che toccherà a noi giudicare.
Forse.
Mi piacerebbe ancor di più pensare che Wiseman sia tanto neutrale nelle immagini quanto Moore lo è con le parole.
Nel ’71.
Avanti di un secolo.
REGISTA: Frederck Wiseman
ANNO:1971
VOTO:10

2 commenti:

Weltall ha detto...

Insomma, mi sembra di capire che quei tre euro nno potevano essere spesi meglio di così, giusto? ^__^

Anonimo ha detto...

Anche io non conosco Wiseman, però questo documentario sembra davvero molto interessante.
Ale55andra