lunedì 8 giugno 2015

È LA STORIA, NON COLUI CHE LA RACCONTA.




Dimentico spesso quanto King possa essere avvinghiante.
Anche dopo aver letto qualcosa come una trentina di romanzi e un paio di raccolte di racconti, ogni volta che prendo in mano un suo libro il pensiero è sempre lo stesso: questa volta non ci riuscirai.
Non riuscirai a tenermi sveglio la notte come feci con It a 16 anni, sette ore a leggere col lumicino pur di levarmi di dosso gli incubi che mi assalivano ogni volta che chiudevo occhio o andavo in cantina a prendere una bottiglia di vino per mio padre.
Non riuscirai a farmi portare in giro nei posti più improbabili e scomodi (sul tram, in spiaggia, a casa della fidanzatina) un libro della mole de L'ombra dello scorpione in versione integrale (per chi non lo sapesse più di 1000 pagine scritte in caratteri simpaticamente microscopici nella sua versione """tascabile""") pur di non lasciare da soli i miei eroi durante la fine del mondo.
Non riuscirai a tenermi un giorno intero inchiodato a letto credendo di essere nel Miglio Verde nella speranza che John Coffey si salvi.
E non riuscirai nemmeno a farmi leggere un racconto dietro l'altro ripetendomi continuamente "Ancora uno piccolo e poi la smetto..."
E invece no.
A 68 anni King, in piena crisi bulimica da scrittore compulsivo (ormai pubblica almeno due romanzi l'anno più una raccolta di racconti, qualcosa che a ben pensarci dovrebbe ispirare uno dei suoi horror), è ancora capace di prendermi di peso e portarmi in un altro mondo senza nemmeno tanti sforzi. Gli bastano due capitoli nostalgici sull'ennesima infanzia passata nel Maine, questa volta all'interno di una felice e numerosa famigliola religiosa, ed eccomi li a portarmi a spasso Revival dappertutto. In edizione rigida. Con 470 pagine. Al lavoro, in macchina, nel tascone dei pantaloni corti mentre vado in giro. Insomma, di nuovo.
Non dirò che Revival è un capolavoro.
Sono anni che, pur non leggendo tutto quel che King pubblica (per stargli dietro dovrei leggere solo più lui, e non mi va ancora di diventare pazzo), il Re dell'horror non scrive un vero e proprio capolavoro; forse i tempi di It, L'ombra dello scorpione, Pet Sematary, Cuori in Atlantide, Stagioni diverse e Il miglio verde sono passati per sempre o forse semplicemente sono io ad essere diventato troppo esigente.
Niente capolavori quindi, ma libri più o meno buoni a seconda delle stagioni.
Duma Key, tanto per dirne uno recente, ma non recentissimo, era una mezza ciofeca nonostante la buona idea di partenza. Pareva il libro di uno scrittore anziano che vive su un'isola scema del Pacifico, col cappellino di paglia in testa e poche gioiose idee che gli rimbalzano nel cervello rugoso senza saper dove andare. Non il massimo, ecco.
22/11/63 invece era un buon romanzo. Con una parte centrale decisamente inferiore all'incipit e al finale (uno dei pochi riusciti nella lungherrima carriera e quindi già solo da ricordare per quello), ma comunque molto buono.
E poi c'è Revival.
Che è meglio di 22/11/63 e quasi allo stesso livello di quel Cuori in Atlantide che metto tranquillamente tra i migliori.
Perché c'è un'ottima idea di partenza, ma soprattutto perché c'è uno sviluppo degno del King degli anni migliori. Si parte da uno dei pezzi forti del nostro (l'infanzia, un'età magica che solo lui sa descrivere così meravigliosamente), per attraversare poi la vita intera del protagonista per spizzichi e bocconi. Un assaggio di adolescenza, un salto nei 40, un ritorno ai 30 e poi via via lentamente verso i 50 e infine i 60. Revival pare più una biografia che un romanzo qualsiasi e arriva al succo soltanto nelle ultimissime pagine, prendendosela con calma sugli aspetti della vita più reali e accelerando su quelli più soprannaturali, quasi a voler far sembrare questi ultimi lampi e tuoni che irrompono nella nostra esistenza di sole e nubi.
Con gli anni King sembra aver abbandonato ormai del tutto ogni orpello che non abbia a che fare con la vera e propria storia che sta raccontando e quindi la narrazione prosegue ancora più spedita del solito, fino ad arrivare al finale burrascoso che tutti attendono.
Che non è un brutto finale.
Mi piace scrivere recensioni e, di conseguenza, mi piace leggerne. Sarei un coglione a non farlo. E sarei anche un pirla che pretende di essere letto senza leggere niente di quel che gli altri scrivono. Questo per dire che ho letto ben più di una recensione che parlava di una seconda metà del libro deludente e soprattutto del solito finale imbarazzante a là King. E per una volta, o forse per l'ennesima, non sono d'accordo.
Il finale soprannaturale di Revival, esattamente come quello di 22/11/63, è fatto di poche pagine. Pochi brevi accenni ad un orrore che l'occhio umano non può sopportare e che lo scrittore del Maine, a quasi 70 anni, riesce ancora a descrivere incutendo terrore. É vero che il romanzo sembra accumulare dettagli su dettagli per poi smontarsi in poche semplici righe, ma è anche vero che qui, come in 22/11/63 e come nel 90% dei romanzi del Nostro, quello che davvero conta è il finale che viene dopo, quello che riguarda la vita vera. Quella di un uomo dell'età di Stephen stesso che è passato non casualmente attraverso la droga, la musica rock e la morte di molti dei suoi cari (e indirettamente anche attraverso un incidente automobilistico, cosa che King non dimentica mai di inserire nei suoi romanzi da 15 anni a questa parte), per arrivare ad un'anzianità fatta di tanti ricordi.
Stupendi, brutti, belli e orrendi.
Ma tutti profondamente Kinghiani.
E quindi urliamolo ancora una volta.
W il Re.
W colui che la racconta.

REVIVAL
AUTORE: Stephen King
ANNO: 2014
GENERE: Horror, Drammatico
VOTO: 8

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