sabato 25 agosto 2007

STRANGER THAN PARADISE- PIù STRANO DEL PARADISO

Come si fa a scrivere una recensione di un road movie di un ora e venti a cui partecipano una decina di attori in totale (compresi quelli che recitano per 5 secondi) in cui non succede praticamente nulla abituati alle ingarbugliate quanto assurde trame di oggi?
Sinceramente non ne ho idea.
Se vi dicessi che il protagonista di questa pellicola è un ragazzaccio di nome Willie che vive in un monolocale lurido perennemente con il cappello in testa (chissà perché mi ricorda quel finto alternativo di Pete Doherty) e con la fissa per il gioco (carte, corse di cani, cavalli e chi più ne ha più ne metta!) molto probabilmente pensereste a chissà quali avventure in giro per l’ America, tra droghe, fumo, alcool e feste.
Ma questo non è il classico road movie Hollywoodiano in cui può accadere qualsiasi cosa, lo definirei piuttosto un reale film della strada.
Qui non c’ è alcun sogno americano da esaltare o da distruggere per cercare di costruirne uno nuovo: il boom economico è lontano anni luce e il ’68 è ormai solo un lontano ricordo sbiadito, un sogno mai realizzato.
L’ inizio degli anni ’80 vede in scena una gioventù che non ha nemmeno più la forza di opporsi autodistruggendosi (vedi punk) al sistema: l’ apatia è la miglior difesa per un ragazzo immigrato da tempo in America che non riesce ad accettare il fatto di essere un Ungherese e non un “vero” Americano.
Se la cugina in visita rifiuta di adattarsi a un modo di vivere non suo, Willie tenta di inserirsi a forza all’ interno della società, diventando addirittura una caricatura di quello che la società americana secondo lui vuole da se stesso: la scena del cibo in vaschetta perché “In america si mangia così”, il regalo alla cugina Eva di un vestito perché “Devi vestirti come si vestono qui” e addirittura il nome cambiato da Bela in Willie ci fanno comprendere quanto il protagonista abbia paura di essere escluso da una società che comunque non sente sua.
Se la prima delle tre parti in cui è divisa la pellicola è intitolata ironicamente “The New World” e ci mostra il profondo disagio del protagonista (ma sempre con un tocco fine di umorismo) in una New York quanto meno estraniante (nelle poche esterne presenti sembra sempre di vedere una città deserta nel tentativo di isolare il debole uomo), la seconda parte ci mostra la vita della zia di Bela (Ai em the vinner.. capirete capirete!) da cui Eva vive per un anno.
Lotte (la zia) è una donna anziana che si potrebbe dire l’ esatto opposto del nipote: se lui fa di tutto per parlare solo inglese e comportarsi da Americano, lei sembra quasi provocarlo dialogando con lui solo in ungherese nonostante i suoi richiami.
La terza ed ultima parte, infine, intitolata “Paradise” vede Willie, l’ amico Eddie ed Eva andare in Florida, vero e proprio Paradiso rispetto alla nevosa Cleveland, dove un inaspettato finale metterà la parola fine ad un avventura di 3 ragazzi quanto meno singolare perchè di realmente straordinario non ha nulla se non il tentativo di esserlo.
Incredibilmente surreale quanto realistica, questa seconda pellicola di Jarmusch (in realtà la prima è un mediometraggio tesi di laurea di nome Permanent Vacation) si muove soprattutto grazie al talento dei semisconosciuti attori (John Lurie nella parte di Bela e R. Edson, primo batterista dei Sonic Youth, in quella dell’ amico Eddie) e alle riprese di Jarmusch che segue un modo tutto suo di riprendere: le scene vengono staccate da improvvisi tagli, a volte addirittura durante i dialoghi, i momenti di silenzio assoluto sono molti (controbilanciati dalle poche ma ben fatte musiche dello stesso John Laurie e dalla favolosa “I Put A Spell On You” di Screamin Jay Hawkins) e gli spazi di pellicola nera tra una scena e l’ altra altrettanti e altrettanto lunghi.
Insomma che vi devo dire? Si potrebbe concludere con un bel “Non è un film per tutti!” ma voi sapete indicarmene uno di questi tanto declamati "film per tutti"? Più modestamente vi posso dire che non è una pellicola adatta ad ogni momento: Jarmusch va seguito, gustato in ogni più piccolo particolare e ascoltato in ogni dialogo per coglierne appieno il fine umorismo amaro di fondo.
Un ultimo consiglio: se non avete mai visto un film del Nostro vi consiglio di partire da altro, anche il successivo Daunbailò risulta più accessibile con uno stralunato quanto magistrale Benigni.
“Che Cazzo ci farai a Budapest?”
Curiosità: tra i molti premi raccolti mi interessava far notare la Golden camera per miglior film d’ esordio al Festival di Cannes e il premio speciale della giuria al Sundance Film Festival come film drammatico.
REGIA: Jim Jarmusch
ANNO: 1984
GENERE: Road Movie
VOTO: 8
QUANTO è DIVERSO JARMUSCH DAL 90% DEI REGISTI IMPROVVISATI DI OGGI: 10
CONSIGLIATO A CHI: Vuole passare una piacevole oretta in compagnia di 3 personaggi strampalati e stralunati in grado di divertire facendo riflettere (che sembra tanto na frase da film di Robin Williams ma non lo vuole assolutamente essere!).

3 commenti:

FiliÞþØ ha detto...

questo jarmush mi manca...

Anonimo ha detto...

neanch'io l'ho visto, ma già l'ho trovato. hai ragione.... Jarmusch va seguito, gustato in ogni più piccolo particolare...

Deneil ha detto...

filippo se apprezzi jarmusch questo te lo consiglio vivamente!Stessa cosa per mash, se lo vedete ditemi cosa ne pensate!