giovedì 26 luglio 2007

THE STAND- L' OMBRA DELLO SCORPIONE


Me le cerco.
Me ne rendo conto.
Eppure a rovistare nella spazzatura a volte si trovano veri e propri tesori.
Per l’ ennesima volta non ne ho trovati.
Capita.
Capita che un ragazzo decida di leggere qualcosa di Stephen King un giorno.
Capita che il primo libro che si trova tra le mani non sia il tanto acclamato “It” ma qualcosa di meno conosciuto (ma non dai veri lettori di King): “The Stand” , più conosciuto in Italia con l’ assurdo titolo de “L’ ombra dello scorpione”.
Capita che quel ragazzo si innamori di quel libro e scopra anni dopo, con internet a disposizione, che ne esiste una trasposizione per la tv, una miniserie di 4 puntate della durata totale di 6 ore.
Capita che quel ragazzo si fidi, dica: “Chissà quanto è bello!”, per poi ricordarsi 10 secondi dopo che il 90% delle pellicole tratte dai libri di King sono a dir poco ignobili.
Capita che il regista di questa meraviglia tanto attesa sia tale Mick Garris, capace di girare una trasposizione per la tv di “Shining” imbarazzante (con il coraggio di farlo dopo il capolavoro di Kubrick addirittura), e un altrettanto penoso adattamento di “Desperation”.
Capita che il ragazzo abbia un cuore d’ oro e decida comunque di andare avanti scoprendo nel cast della serie attori su cui riporre un minimo di fiducia: Gary Sinise, Rob Lowe, Ed Harris bastano a dargli la spinta decisiva per vederlo.
Capita che il malcapitato trovi un amico disposto a torturarsi con lui e dopo mesi di rimandi l’ amico trovi altri pazzi disposti a sacrificarsi, addirittura senza mai aver letto il libro.
La pellicola ha inizio, si decide di vederla in due serate per non stramazzare sul divano a metà.
La trama è tipicamente anni ’80 (il libro è più precisamente del ’78), un epidemia mortale si diffonde a causa di un errore in un laboratorio sperduto e la conseguente fuga di uno dei sorveglianti ormai infettato. La malattia è veloce e mortale nel 99% dei casi ma qualcuno riesce a sopravvivere (non chiedetevi perché, non ha senso chiederselo in trame del genere). I sopravvissuti hanno degli strani sogni in cui vedono, a seconda della loro bontà o meno, una vecchia signora che li invita ad andarla a trovare o uno strano uomo vestito con jeans a vita alta e giubbotto di jeans chiaro (che più anni ’90 di così c’ è solo Donna di Beverly Hills) vagamente somigliante a Bobo Vieri che, a sua volta, li invita nella lussuriosa Las Vegas.
Insomma ancora una volta King mette a confronto il bene e il male (ma ricordatevi che questo fu uno dei suoi primi libri quindi non si dovrebbe dire ancora una volta!), da una parte la vecchina mamma Abigail è portatrice della parola di Dio, dall’ altra tale Randall Flagg è il messaggero del diavolo, se non il diavolo stesso.
Detto questo mi fermo. Sulla trama non voglio dire nient’ altro, se volete saperne di più fatemi il piacere di leggere il libro e non ciò di cui vi sto parlando, farete un piacere a me ma anche ai vostri occhi. Dopo aver letto il libro, se proprio volete, chiamate degli amici, ubriacatevi e fatevi 4 risate con il film, giusto 4 non di più.
Venendo agli attori mi tolgo subito un piccolo sassolino dalla scarpa: fanno tutti estremamente pena con l’ eccezione di Gary Sinise e Ed Harris (confinato però in una particina piccola piccola, giusto per non rovinare la media).
Rob Lowe nei panni di un sordomuto fa ridere: a volte capita di vederlo annuire con la testa anche se qualcuno gli parla alle spalle (ma è sordomuto come fa!?), mentre il linguaggio dei gesti si limita a due- tre segni.
Bill Fagerbakke (tanto per essere chiari: è la voce di Patrick Stella in Spongebob) nella parte del ritardato mentale Tom Cullen potrebbe anche convincere inizialmente ma alla lunga è a dir poco irritante.
Le attrici principali Molly Ringwald e Laura San Giacomo: no comment (e vi assicuro che non discrimino nessuno!). Ruby Dee nella parte di mamma Abigail è invece quasi credibile.
Jamey Sheridan nella parte di Randall Flagg è ridicolo punto e basta.
Se il libro è scritto in modo da non poter smettere di leggere (la struttura è simile a quella del “Signore degli anelli” con un capitolo per ogni personaggio o gruppo), la pellicola è tesa come un savoiardo inzuppato nel latte. Se è accettabile che le prime due parti siano abbastanza lente (d’ altronde anche nel libro ci vengono presentati solo i personaggi anche se con tutt’ altro stile), è invece irritante il fatto che nelle ultime due parti, pregne di eventi, ci si annoi ancora di più.
Senza stare a sottolineare quanto siano inguardabili certi effetti speciali (partendo dalla trasformazione di Randall Flagg realizzata seguendo lo stile dei mostri della serie tv di “Hercules” fino ad arrivare ad un orribile visione fatta con un commodore 64, si spera, di una città inesistente), la regia è piatta, banale, priva di mordente e a tratti ridicola.
Tutti i messaggi del libro di Stephen King (che vi fornirò in una prossima recensione del romanzo) vanno persi in una delle peggiori trasposizioni che io abbia mai visto.
Insomma se “Brivido” poteva far ridere per quanto faceva schifo questo al massimo annoia.
Capita che il ragazzo attenda fino all’ ultimo per la mitica scena finale trovandosi di fronte a un orribile effetto computerizzato che gli fa fare 4 risate. Giusto 4 non di più.
REGIA: Mick Garris
ANNO: 1994
GENERE: apocalittico
VOTO: 2
QUANTO DEV’ ESSERE PARACULATO MICK GARRIS PER PRODURRE CERTE OSCENITà: 10
CONSIGLIATO A CHI: ha letto il libro e vuole rimanere deluso dall’ ennesima trasposizione mal fatta. A chi non ha letto il libro consiglio vivamente di sedersi sul divano pronto a inveire contro il regista, il film, gli attori, gli effetti speciali bla bla bla.

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