Sono abbastanza arrogante da credere davvero di poter scrivere qualcosa di interessante su questa straordinaria pellicola?
Si lo sono.
La recensione che segue è la seconda sul ciclo de "Il pianeta delle scimmie", la prima riguarda il libro omonimo di Boulle da cui è nato tutto, la trovate più in basso, o semplicemente cliccando qui.
Ne seguiranno altre ovviamente, sono già pronte, ma prima mi prenderò una piccola pausa dal pianeta e pubblicherò qualcos' altro.
Questa la dovevo a Weltall e Chimi.
Riprendiamo dalla fine della scorsa recensione sul libro di Pierre Boulle da cui è stata tratta questa pellicola.
Sconvolto dopo 173 pagine mi ero detto.
Bene.
Ora vi posso tranquillamente dire che sto per accasciarmi al suolo.
Il pianeta delle scimmie è un capolavoro.
CAPOLAVORO.
Voglio che sia chiaro a tutti quello che penso perché sarà su questa linea che proseguirà la mia recensione.
Ora potete pure proseguire.
Non mi soffermerò sugli aspetti tecnici e sulle vicende sapute e risapute riguardo la sceneggiatura, il budget, il cast, il regista, il cugino del regista e quante volte in un giorno andava in bagno il produttore.
Sinceramente credo sia troppo facile cavarsela così.
Per un film come “Il pianeta delle scimmie” vorrebbe dire spulciare un secondo su google per trovare migliaia di informazioni di questo genere e sinceramente lo trovo ingiusto sia nei miei (mi sentirei abbastanza inutile) sia nei vostri confronti (cosa vi serve un blog di recensioni se vi dice le stesse cose che vi dicono milioni di altri siti più specializzati e meglio informati?)
Se capiterà di citare qualcuna delle suddette informazioni inutili sarà solo perché hanno una loro utilità ai fini dello scritto e della sua comprensione (o semplicemente perché non ho resistito alla terribile tentazione di svelarvi qualche curioso particolare).
Una volta, non molto tempo fa, lessi su un sito di recensioni l’ opinione di un ragazzo abbastanza saccente (e per abbastanza intendo tantissimo) che proclamava l’ assoluta superiorità di alcuni film senza alcuna storia al loro interno come 8 ½ di Fellini (o almeno questo è quello che credeva lui) e della tecnica sulle pellicole più classiche che si muovono con il classico sistema di narrazione (lineare o meno)e che non introducono nulla di nuovo a livello tecnico.
Voglio che lo sappiate tutti: io non sono assolutamente di quel parere.
“Il pianeta delle scimmie” è semplicemente una grande e bellissima storia.
Non è raccontata con nessuno stravagante artificio (mettere la fine all’ inizio o spargere pezzettini qua e la), non ha assolutamente nulla di così innovativo a livello superficiale (non è sicuramente la prima storia che racconta di un umano sbarcato su un pianeta abitato!) e non è nemmeno straordinaria dal punto di vista visivo (niente skateboard volanti o palazzi immensi sullo sfondo) o tecnico (la regia di Schaffner è si molto buona ma non ha spunti grandiosi da gran maestro del cinema (o almeno questa è l’ impressione che si ha ad una prima visione).
Eppure “Il pianeta delle scimmie” rimane una storia grandiosa.
In tutti i sensi possibili e immaginabili.
Non è mia intenzione mettermi qui a raccontarvi la maestosa vicenda che avrete già letto in decine di siti (o libri, o tazzine del caffè, dove volete!): la storia di Terry che, atterrato su un pianeta alieno, si ritrova a dover far i conti con una popolazione di scimmioni intelligenti e di umani regrediti allo stato scimmiesco e che dovrà avanzare dal suo stato di prigionia animale a quello di uomo libero.
“Il pianeta delle scimmie” è un film straordinario.
Se il libro di Boulle si fa strada nella nostra mente con improvvisi colpi di scena e straordinarie provocazioni intellettuali, quello che il film diretto da Franklin J. Schaffner fa è colpire al cuore con tutti i mezzi possibili e immaginabili.
E in questo senso il risultato è l’ opposto dell’ altro caposaldo della fantascienza firmato nel 1968 dal signor Kubrick: un certo “2001: odissea nello spazio” che con la sua glacialità si proponeva di farci ragionare a fondo, lavoro di mente dunque.
“Il pianeta delle scimmie” è una valanga.
Di emozioni, di immagini, di personaggi, di parole, di motti ma soprattutto di storia.
Una storia a valanga.
“Voi che mi state ascoltando adesso siete una razza diversa!”
È questa una delle primissime affermazioni di Terry (il protagonista che nel libro di Boulle si chiamava più simbolicamente Ulisse).
A Rod Serling (l’ ideatore della straordinaria serie “Ai confini della realtà” a cui la fantascienza odierna deve molto se non tutto e primo sceneggiatore del film) e Michael Wilson (sostituto di Serling alla sceneggiatura per le idee troppo costose riguardo la società avanzata secondo le esigenze scimmiesche immaginata da Serling) interessa fino ad un certo punto il colpo di scena, o perlomeno non interessa il primo colpo di scena che Boulle aveva posto al centro della sua storia.
D’ altronde esisteva già un libro e il titolo era chiaro al riguardo.
Quale colpo di scena poteva essere la comparsa di scimmie pensanti a metà pellicola?
Per questo dopo il brusco atterraggio non c’ è bisogno di molto tempo per vedere le scimmie intelligenti catturare (o uccidere nel caso del compagno nero poi imbalsamato in un museo a metà pellicola) i nostri.
La storia procede.
Come una valanga.
A differenza del libro in cui Ulisse si sofferma attentamente e per lungo tempo sulle capacità umane delle scimmie (sorridere e addirittura parlare!) Schaffner risolve tutto con una sola fantastica sequenza: gli scimmioni in piedi trionfanti sulle loro prede e il fotografio che esclama: “Sorridete!”
Rod Serling, Michael Wilson o chi per loro si muovono in modo diverso rispetto a Boulle eppure riescono a creare qualcosa di altrettanto straordinario.
Mentre il libro dello scrittore francese insisteva pesantemente sugli esperimenti da animale domestico a cui è sottoposto Taylor (o Ulisse, chiamatelo un po’ come volete!), il film di Schaffner si disinteressa quasi completamente dell’ argomento per rivolgersi alla cocciutaggine degli eminenti scienziati scimmioni biondi.
Zaius in particolare è reso talmente sgradevole, detestabile e viscido che non stupisce per nulla che la pellicola sia datata 1968.
Anzi.
Quel semplice numero, quella data, oggi, a distanza di anni, si può anche leggere come rivoluzione.
Tentata, fallita, misera, inutile, farlocca.
Potete attribuirgli l’ aggettivo che volete.
Si tratta comunque di rivoluzione.
E “Il pianeta delle scimmie” è senza alcun dubbio un figlio di quel numero, di quella data.
Con disprezzo oggi qualcuno direbbe che “Il pianeta delle scimmie” è indiscutibilmente figlio del suo tempo.
Che poi chi pronunci questa frase non sappia nemmeno dargli un significato ben preciso poco importa perché è l’ effetto che conta.
Perché dire che questa pellicola è figlia del suo tempo non è difficile.
Lo si comprende dalle casupole del pianeta scimmiesco fatte di cartapesta (o qualcosa di simile!) per il limitato budget, lo si comprende dal trucco delle scimmie stesse (seppur straordinario e costosissimo tanto da far vincere un oscar speciale per il make up a John Chambers oggi risulta comunque leggermente datato), ma soprattutto è la storia a dirlo.
“Nel tempo che è passato l’uomo fa ancora la guerra con i suoi fratelli?”
Non è una frase figlia del suo tempo questa?
Certo!
Ma sapete una cosa?
Non me ne importa nulla.
Perché “Il pianeta delle scimmie”, proprio come il libro da cui è tratto, è una lezione morale e in questo caso cinematografica come ne esistono poche.
Mentre nel libro di Boulle, Zaius non sapeva della civiltà terrestre ed era poco incline a crederci, lo Zaius cinematografico è qualcosa che va al di la della nostra comprensione: lui sa molte più cose di quello che vuol far credere ma non vuole farle conoscere al resto del popolo scimmiesco.
Lucius, il nipotino di Cornelius e Zira, le due scimmie che aiutano Taylor nella fuga, chiede perché mai tenere tutti all’ oscuro, perché continuare a vivere in quel modo se si può progredire e la risposta di Zaius è simbolica dell’ intera pellicola e di quel che si vedrà subito dopo.
Perché in questo modo forse ci salveremo.
È questo in sostanza il messaggio dell’ eminente saggio.
Quel saggio che tutti odiano durante la visione della pellicola, che tutti sperano muoia da un momento all’ altro o che comprenda finalmente la vera natura di Taylor si trasforma, a differenza del libro di Boulle, nel salvatore della sua gente.
La dove il libro nel finale lanciava un messaggio a proposito di politici e pensatori legati alle auctoritas incapaci di farci progredire in un mondo sano, il film si trasforma in qualcosa di assolutamente differente.
A dispetto del suo tempo, “Il pianeta delle scimmie” ci dice che in qualche modo abbiamo bisogno anche di saggi pensatori legati alle tradizioni.
Forse Zaius non è l’ esempio più giusto da seguire ma è indubbio che il personaggio di Cornelius (interpretato da Roddy Mc Dowell, unico a comparire in tutti i seguiti) tanto legato alle sue teorie quanto intimorito nel trasmetterle alla fine risulta forse più disgustoso del saggio stesso.
E Taylor?
L’ uomo che nel romanzo di Boulle dopo molte peripezie riesce ad essere trattato come uno del popolo e vivere per un intero anno al pari del resto delle scimmie non è forse qualcosa di profondamente diverso?
Solitario, sprezzante, ribelle e incapace di accettare la dura realtà: il Taylor interpretato dallo straordinario Charlton Heston (forse nella sua interpretazione più convincente insieme a quella di Ben Hur) è più cocciuto di Zaius stesso.
Mentre quest’ ultimo finge solamente di non sapere, Taylor si ostina a insultare i gorilla senza comprendere la loro superiorità in questo mondo (“Toglimi quelle zampacce di dosso maledetto sporco gorilla!”) e a non accettare la sua sconfitta fino all’ ultima straordinaria e straziante visione.
Schaffner (regista consigliato da Heston) dirige bene e costruisce pregevoli momenti come quello di Taylor seguito da una macchina disorientata mentre viene colpito da oggetti lanciati da tutto il popolo ma quello che crea insieme all’ immaginazione di Rod Serling sul finale è qualcosa di immenso.
Capace di ribaltare ogni buon lieto fine possibile, di sorprendere per la sua immensa crudeltà e per la sostanziale differenza con il libro (li Terry sul finale riusciva a riprendere l’ astronave e a dirigersi sulla Terra dominata ormai da scimmioni), di colpire come un terremoto tutti i nostri cuori.
“Sono a casa, la Terra, voi uomini l’avete distrutta! Maledetti! Maledetti per l’eternità! Tutti!”
La camera si gira su una statua della libertà spezzata in due e per metà immersa nella sabbia.
Fine.
CAPOLAVORO.
REGIA: Franklin J. Schaffner
ANNO: 1968
GENERE: Fantascienza
VOTO: 10+
QUANTO SONO GRANDI LA SCENA SUL CANYON CON TAYLOR (UOMO) DA UNA PARTE E CORNELIUS (SCIMMIA) DALL’ ALTRA E LA MERAVIGLIOSA COLONNA SONORA DI JERRY GOLDSMITH: 10
CONSIGLIATO A CHI: A chiunque voglia vedere uno dei più grandi film di fantascienza mai prodotti.
Godetevi il trailer!
11 commenti:
"Questa la dovevo a Weltall e Chimi"
eh eh eh grazie ^___^
Ottima recensione per un film senza tempo.
L'avrò visto almeno un migliaio di volte eppure il finale mi colpisce ed emoziona ogni volta...bellissimo!!!
finale da oscar!se ci fosse un oscar per il finale il pianeta delle scimmie vincerebbe quello alla carriera..davvero fantastico!ma tutto il film è una meraviglia!gracias per i complimenti!
Innanzitutto mi unisco ai ringraziamenti di Weltall per la dedica ^^
Poi ti ringrazio per aver scritto questa straordinaria recensione: assolutamente meravigliosa, profonda, mai banale (e non era facile visto il tema molto trattato). Penso che sia la riflessione-recensione più bella che abbia mai letto su questo film (non lo dico per adularti, sono sincero).
Concordo con ogni singola parola; in più vedere nel tuo "slide show" l'immagine finale del film leggendo la recensione è davvero bellissimo.
Uno dei migliori finali di sempre (e per migliori intendo primi 3-4).
Una profonda riflessione sull'umanità: il passato è anche il futuro dell'uomo.
Uno dei film più straordinari che la fantascienza ci abbia regalato.
UN CAPOLAVORO SENZA ALCUN DUBBIO!!!
Complimenti ancora...
Un saluto
Chimy
@chimy:grazieeeeeeeeee!commenti del genere valgono il tempo che mi porta via questo blog..graziegraziegrazie!
sono contento piaccia anche perchè l'ho vista e rivista una decina di volte prima di pubblicarla proprio perchè sapevo dell' attesa tua e di weltall..ci tengo ai miei lettori affezionati!
finale storico!
"il passato è anche il futuro dell'uomo" hai detto tutto in 8 parole.geniale!
capolavoro!
comunque il ciclo sul pianeta non è finito...per ora direi anche purtroppo..ma magari mi attende qualche sorpresa!
Tra l'altro mi è venuta voglia di rivederlo ancora... mi sa che domani se ho un paio d'ore...^^
Nulla da eccepire, lo vidi anni fa e mi colpì molto (soprattutto la scena finale), ne ho rivisti alcuni pezzi un annetto fa e lo apprezzai ancora di più. Veramente un film senza tempo.
@chimi:la forza di una recensione!eheh!
@M:esatto!film senza tempo!
Da appassionato della fantascienza esultai quando lo vidi al cinema (ma non in prima visione) e tutte le volte che l'ho rivisto non è diminuita la passione che ho per questo film. Ogni volta poi ci trovo qualcosa di diverso. Non mi sembra mai lo stesso film. Per questo lo amo. La sequenza del frammento della statua della libertà sulla spiaggia è divenuta icona dei miei incubi che entra a volte (sotto diverse forme) nei miei sogni. Da appassionato di cinema in generale lo metto senza dubbio tra i capolavori.
la scena finale al cinema dev'essere davvero qualcosa di emozionante..me la immagino!in effetti credo che se lo vedessi un altra volta direi altre cose..anche se credo di averci messo tutto il mio impegno in questa recensione per far capire le mie idee al riguardo!resterebbe comunque il fatto che film e libro (sempre a mio parere) portano avanti due discorsi comunque abbastanza differenti!
un incubo con la scena finale..dev'essere angosciante!e che capolavoro sia, dunque!
Un affettuoso augurio di Buon Natale!
Mario
grazie anche a te!
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